Santa Maria dell’Anima, da più di seicento anni, è la chiesa di riferimento della comunità tedesca a Roma, dove riposa papa Adriano VI, un edificio che ha conosciuto ben tre vite, tante, infatti, sono le chiese costruite, dall’originaria edificata nel XIV secolo, fino a quella attuale, consacrata nel 1542.
Scrigno d’arte ma anche luogo simbolo per la storia della Chiesa tedesca e non solo, Santa Maria dell’Anima merita davvero una visita, per cui non ci rimane che entrare e scoprirla insieme.
Seguiteci, cominciamo la visita.
LA FONDAZIONE DI SANTA MARIA DELL’ANIMA
Seicento e più anni, a tanto ammonta la vita della chiesa di Santa Maria dell’Anima che, immemore del tempo trascorso, custodisce al suo interno storia e arte.
Tutto ha inizio nell’Anno Santo del 1350, quando i coniugi Johannes e Katharina Peter, originari di Dordrecht e di passaggio a Roma per il Giubileo, decidono di donare alla comunità tedesca dei terreni, precedentemente acquisiti, per farvi sorgere un oratorio e un ospizio, dedicati alla Madre di Dio, con il titolo di Beatae Mariae Animarum, e destinati all’accoglienza dei pellegrini tedeschi.
Interno della Chiesa di Santa Maria dell’Anima
L’afflusso dei fedeli germanici è fin dall’inizio numeroso e particolarmente prodigo, visto che non sono pochi coloro che finanziano l’ospizio con generose donazioni, come Dietrich von Niem, al quale spetta anche il merito di dare uno statuto alla neonata confraternita.
Ma è sotto papa Innocenzo VII che Santa Maria dell’Anima conosce un’altra tappa fondamentale della sua storia. Il 21 maggio 1406 il pontefice, nativo di Sulmona, emette una bolla con la quale rende la chiesa, nel frattempo costruita in luogo dell’originario oratorio e l’attiguo ospizio, una fondazione pontificia, autorizzando, anche, la costruzione di un piccolo cimitero.
Ma la vita per Santa Maria dell’Anima non è stata sempre rosea. Due i momenti più difficili. Il primo in occasione del Sacco di Roma del 1527, quando la chiesa viene seriamente danneggiata; il secondo coincidente con l’occupazione francese del 1798, durante la quale l’edificio religioso è adibito a fienile e la sagrestia, addirittura, a stalla per i cavalli.
LA COSTRUZIONE DELL’ATTUALE CHIESA
L’attuale chiesa di Santa Maria dell’Anima, nel rione Ponte, all’angolo fra l’omonima via e vicolo della Pace, inizia a essere costruita a partire dal 1500, sulle ceneri della precedente struttura gotica, a sua volta edificata in luogo dell’originario trecentesco oratorio.
La consacrazione della nuova chiesa avviene nel 1542, per la felicità della numerosa comunità tedesca che apprezza il lavoro compiuto da architetti del calibro di Sansovino, Sangallo e Bramante.
La prima immagine che si ha della chiesa è, ovviamente, quella della facciata, la cui altezza non è totalmente apprezzabile a causa della ristrettezza di via dell’Anima, in precedenza nota come via dei Mellini, dal toponimo di una famosa famiglia romana, proprietaria, oltretutto, della celebre Tor Mellina, edificio ancora oggi esistente, non lontano dalla nostra chiesa.
La facciata, attribuita al genio di Sangallo, edificata tra il 1514 e il 1523, realizzata in laterizi, si caratterizza per il rigoroso stile rinascimentale, evidenziato dalla tripartizione in lesene con capitelli compositi in travertino e per la sovrapposizione dei tre ordini orizzontali, di cui, l’ultimo, è impreziosito dal grande oculo centrale, posto tra due stemmi di papa Adriano VI, pontefice sepolto nella basilica.
Altro elemento degno di nota della grande facciata sono i tre portali dell’ordine inferiore, tutti arricchiti da architravi sorretti da colonne scanalate e sormontati da timpani, di cui, quello centrale è, senza ombra di dubbio, il più suggestivo, anche per la presenza del gruppo scultoreo, opera di Andrea Sansovino e raffigurante la Madonna con Gesù bambino fra due figure inginocchiate.
Infine, l’esile campanile, posto sul lato settentrionale della chiesa e visibile solo da vicolo della Pace. Costruito nel 1518, su progetto di Andrea Sansovino, fu realizzato in laterizi e si presenta con uno stile piuttosto originale, visto che alle bifore rinascimentali contrappone i pinnacoli goticizzanti e la singolare cuspide, rivestita di squame maiolicate policrome.
L’INTERNO DI SANTA MARIA DELL’ANIMA, UN FLORILEGIO D’ARTE
Alla sobrietà della facciata esterna fa da contraltare, invece, la ricchezza e la solennità dell’interno di Santa Maria dell’Anima, ripartito in tre imponenti navate, poggianti su slanciati pilastri, ornati, nella parte terminale, da capitelli corinzi.
Sul fianco destro delle due navate laterali (la cui altezza, secondo il topos architettonico caratteristico delle chiese tedesche dette “chiese a sala”, è identica a quella della navata centrale) si aprono otto cappelle che custodiscono opere d’arte, tutte da ammirare.
Santa Maria dell’Anima a Roma
La prima cappella, posta sul lato sinistro e dedicata a San Lamberto da Liegi, si caratterizza per la tela seicentesca del veneziano Carlo Saraceni, raffigurante il martirio del santo originario di Maastricht, fatto uccidere da Pipino di Herstal mentre officiava la messa a Liegi, nella cappella dei Santi Cosma e Damiano.
Non meno interessanti sono le restanti tre cappelle, tra cui spicca l’ultima, quella dedicata al Santissimo Crocefisso e impreziosita dalla pala d’altare raffigurante una Deposizione di Gesù, opera del fiorentino Francesco Salviati che intorno alla metà del XVI secolo decorò l’intera cappella, nota, anche, come Cappella dei margravi.
Ugualmente di pregio sono le cappelle della navata di destra, tutte riccamente decorate e arricchite da pregevoli gruppi scultorei, come nel caso della Cappella dedicata a Sant’Anna, al cui interno sono presenti ben tre monumenti funebri, opere di Domenico Guidi, Ercole Ferrata e, soprattutto, Alessandro Algardi, che realizza la tomba di Giovanni Savenier, segretario e protonotaro sotto papa Urbano VIII.
L’ultima cappella della navata di destra custodisce, invece, la Pietà di Lorenzo Lotti, noto, oltre che per il soprannome di Lorenzotto anche per essere stato allievo di Raffaello; si tratta di un’opera di forte impatto visivo anche per gli evidenti richiami alla più celebre Pietà di Michelangelo in San Pietro.
L’ALTARE MAGGIORE E IL MONUMENTO A PAPA ADRIANO VI
Il florilegio di bellezze conservate in Santa Maria dell’Anima raggiunge l’apice con l’altare maggiore, armoniosa opera e più volte oggetto di interventi, di cui, l’ultimo, datato 1883, per volere dell’imperatore asburgico Francesco Giuseppe.
Proprio l’altare maggiore di Santa Maria dell’Anima custodisce le due opere, probabilmente, più celebri di tutta la chiesa: la Sacra Famiglia e il monumento funebre di Adriano VI.
La prima è la pala d’altare che Giulio Romano, probabilmente il più talentuoso tra gli allievi di Raffaello, dipinge, tra il 1521 e il 1522, prima della sua partenza per Mantova, alla corte dei Gonzaga.
A commissionare la pala, in origine destinata a decorare la Cappella Fugger, è Jakob Fugger, rampollo di una ricchissima famiglia di mercanti tedeschi.
Il soggetto scelto per la pala, è quello della Sacra Famiglia che il pittore romano realizza tenendo conto della lezione del maestro Raffaello, verso il quale non mancano i richiami, come nel caso della grande esedra, un’architettura strappata da quel mondo classico tanto amato dal genio urbinate e presente in molte sue opere, come nella iconica La Scuola di Atene.
Ad arricchire l’altare maggiore, oltre alla pala di Giulio Romano, sono anche i due monumenti funebri. Quello di sinistra, opera degli scultori fiamminghi Gillis van den Vliete, italianizzato in Egidio della Riviera e Nicolaus Mostaert, meglio noto come Niccolò Pippi, custodisce le spoglie mortali del duca Karl Friedrich di Jülich-Cleves-Berg.
Più noto è il monumento funebre di destra, progettato da Baldassarre Peruzzi e contenente i resti di papa Adriano VI, morto il 14 settembre 1523, dopo soli tredici mesi di pontificato. Nativo di Utrecht, Adriaan Florenszoon Boeyens d’Edel, questo il suo nome originario, fu eletto pontefice il 9 gennaio 1522, in un conclave al quale non era neppure presente, visto che si trovava a Vittoria, in Biscaglia.
Ma Adriano VI, che scelse di mantenere il proprio nome di battesimo al momento della proclamazione a papa, non è passato alla storia solo per l’anomala elezione, anche se ottenne l’unanimità dei 39 cardinali, ma anche per essere stato l’ultimo papa straniero, almeno fino al 1978 quando, il secondo conclave di quell’anno, elesse al soglio pontificio il polacco Karol Wojtyla che assunse il nome di Giovanni Paolo II.
Il monumento ad Adriano VI venne commissionato dal cardinale Willem van Enckenvoirt, grande amico del pontefice olandese che affidò l’incarico a Baldassarre Peruzzi che concepì un’opera decisamente composita (non mancano i riferimenti alla vita del papa, come il suo ingresso a Roma con tanto di raffigurazione della Lupa, del mitico Romolo e della personificazione del Tevere, con tanto di cornucopia, nonché di alcuni tra gli edifici più caratteristici di Roma) in cui la parte da padrone è recitata dal sarcofago sul quale il Peruzzi colloca Adriano VI in una posizione insolita, quasi fosse addormentato, con il capo sorretto dalla mano sinistra su cui poggia un’instabile tiara.
Adriano VI, il cui pontificato fu segnato da uno stile austero, scevro da ogni forma di nepotismo e da uno scarso amore per l’arte classica – celebre la decisione di togliere dal Belvedere la statua di Laocoonte, ritenuta troppo pagana – fu salutato da una celebre pasquinata che la diceva lunga sullo scarso amore da parte dei romani.
Sul busto di Pasquino, pochi giorni la morte del papa, comparve un cartiglio che laconico recitava:
Hic jacet impius inter Pios (“Qui giace un non pio tra i Pii”)
L’iscrizione, una piccola vendetta di Pasquino nei confronti del papa che aveva pensato di far gettare la più celebre statua parlante nel Tevere, faceva riferimento all’originaria collocazione del corpo di Adriano VI, in origine seppellito in San Pietro, tra le tombe di Pio II e Pio III e chissà se quel sardonico epitaffio non convinse il cardinale Willem van Enckenvoirt a spostare i resti mortali del suo caro amico in un luogo, Santa Maria dell’Anima, dove il papa olandese avrebbe riposato decisamente più in pace.
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