Sulla sommità del Campidoglio, il colle che ospita la sede del Comune di Roma, si erge la chiesa di Santa Maria in Aracoeli, la basilica che fino alla costruzione del Vittoriano era ben visibile a tutti coloro che venivano da Via Lata (l’attuale Via del Corso). L’edificio sacro fin dal Medioevo ha sempre intrecciato la sua storia con quella dell’amministrazione capitolina, essendo contemporaneamente sia luogo di culto che spazio dedicato alle assemblee cittadine durante l’esperienza dei Comuni. 

DA TEMPIO PAGANO A CHIESA:  STORIA DI SANTA MARIA IN ARACOELI

Santa Maria in Aracoeli è tuttora la chiesa più legata al comune di Roma che a partire dal Duecento ha esercitato il giuspatronato su di essa, celebrando riti religiosi a carattere ufficiale. Su questo colle nel 343 a.C. sorgeva un tempio dedicato a Giunone Moneta, appellativo attribuito alla dea dopo l’assedio dei Galli avvenuto 50 anni prima, quando le oche sacre alla mogli di Giove svegliarono, starnazzando, il console Marco Manlio che così poté dare l’allarme. Sulle rovine dell’antico tempio pagano venne costruito un primo insediamento benedettino, conosciuto con il nome di Santa Maria in Capitolio, che nel 1248 papa Innocenzo IV concederà all’ordine mendicante più famoso in città, quello dei Francescani. Perché il pontefice decise di allontanare i monaci benedettini e favorire i Frati Minori? Per rispondere a questa domanda occorre fare un passo indietro e vedere cosa successe un secolo prima, quando nel 1130 la città si divise in due fazioni: una appoggiava l’elezione al soglio pontificio di papa Innocenzo II, l’altra quella dell’antipapa Anacleto II.

Era avvenuto, infatti, che dopo la morte di papa Onorio II vi era stata una spaccatura nel collegio dei cardinali chiamati ad eleggere il nuovo pontefice e questo pasticcio diede il via ad accesissime contestazioni e ad una doppia elezione che vide l’incoronazione di due papi nello stesso giorno, il 23 febbraio di quell’anno. Alla fine la spuntò Innocenzo II che fu il solo ad essere riconosciuto il papa legittimo, relegando al ruolo di antipapa Anacleto II, l’uomo che i Benedettini dell’Aracoeli avevano appoggiato.

Facciata di Santa Maria in Aracoeli a Roma

Facciata di Santa Maria in Aracoeli, al centro una delle due mani che sorreggono l’arco del portale d’ingresso, a destra la bifora

Dopo cento anni la vendetta della Chiesa di Roma era stata compiuta: l’Ordine di San Benedetto venne allontanato per fare posto ai più miti Francescani, i quali rivoluzionarono completamente l’impianto della basilica e le cambiarono il nome in Santa Maria in Aracoeli. I Francescani aprirono un cantiere dal forte linguaggio gotico, di cui oggi è rimasta qualche architettura come la bifora polilobata sulla facciata o la monofora trilobata in marmo, posta sulla parete esterna destra della struttura. Il portale d’ingresso è invece tardo duecentesco e bellissime sono le due mani che sorreggono l’arco, il simbolo francescano che ricorda l’episodio di papa Innocenzo III che in sogno vide Francesco sorreggere il Laterano.

La scalinata di Santa Maria in Aracoeli venne costruita nel 1348 e servì a collegare l’edificio religioso con il resto della città, visto che fino a quel periodo la basilica era in posizione isolata, essendo accessibile solo dal Foro di Cesare. Dopo la peste del 1348 che aveva mietuto vittime in tutta Europa, la popolazione romana che si era salvata si autotassò e donò alla chiesa quella scalinata su cui sarebbe morto nel 1354 proprio quel Cola di Rienzo che aveva cercato di istituire un Comune governato dai rappresentanti del popolo.

L’INTERNO DELLA BASILICA TRA SEPOLTURE E MIRABILI AFFRESCHI

Santa Maria in Aracoeli. Interno della Basilica

Santa Maria in Aracoeli. Interno della Basilica

L’interno della chiesa presenta un pavimento pieno di sepolture e lapidi funerarie, un modo per chi aveva possibilità economiche di essere inserito all’interno di un edificio sacro così prestigioso per la città di Roma. Anche l’arcidiacono di Aquileia, Giovanni Crivelli, si ritagliò un posto per la sua sepoltura e la sua lastra funeraria fu realizzata da Donatello, che si fermò nella Città Eterna tra il 1431 ed il 1433. La nicchia, in cui è inserito il corpo del defunto, è costituita da una conchiglia al di sopra della quale si trovano due angeli che sostengono lo stemma familiare. Come già precedentemente ricordato, con l’arrivo dei Francescani la chiesa si ampliò, prevedendo tre navate, un transetto ed un’abside semicircolare, per una lunghezza complessiva di ben 55 metri.

L’originaria chiesa benedettina, invece, era più piccola ed era collocata nello spazio che oggi è costituito dal transetto. La più grande ed articolata struttura venne realizzata in un periodo di forti scontri con l’imperatore Federico II per cui il papato sentiva maggiormente l’esigenza di riaffermare la supremazia della Chiesa. Le colonne che suddividono le tre navate sono tutte di reimpiego e lo dimostra il fatto che sono tutte diverse tra di loro. Alcune sono rosse, altre lisce, altre scanalate con capitelli a voluta ionica o con capitelli corinzi. Il pavimento è cosmatesco ed è purtroppo molto rovinato perché quando la città venne conquistata dalle truppe napoleoniche, furono soppressi gli ordini monastici e la chiesa venne adibita a stalla.

Il bellissimo soffitto ligneo che copre la chiesa di Santa Maria in Aracoeli, invece, è tardo Cinquecentesco e racconta l’epica battaglia di Lepanto condotta da Marcantonio Colonna, tornato a Roma da vincitore. Ricordiamo che qui una volta veniva amministrata la giustizia. Grazie alla bolla antipapale di Anacleto II venne inserito nell’area del Campidoglio il tribunale di Roma, tribunale che già doveva essere stato inglobato all’interno della basilica con i Francescani, collocato all’interno delle tre cappelle della navata destra poste più vicine al transetto. E proprio in una di queste cappelle sono stati rinvenuti i resti di pitture attribuite a Pietro Cavallini. Si tratta di una Madonna con bambino tra San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista. Dei due santi purtroppo rimane ben poco perché le due figure vennero scialbate alla fine del Duecento per volere di papa Bonifacio VIII che, in questo modo, volle condannare alla damnatio memoriae quel Giovanni Colonna, suo avversario politico, che aveva commissionato l’affresco. Così per cancellare il suo antagonista dovettero essere intonacati anche i due Giovanni di ben più alto lignaggio, che avevano avuto la colpa di avere lo stesso nome dell’avversario pontificio. Guardando i resti della pittura si può notare come siamo in presenza già di una costruzione spaziale prospettica, di una naturalezza e di una plasticità delle figure che si avvicina molto a quella giottesca.

PINTURICCHIO A SANTA MARIA IN ARACOELI: IL CAPOLAVORO DELLA CAPPELLA BUFALINI

Cappella Bufalini di Pinturicchio in Santa Maria in Aracoeli

Cappella Bufalini di Pinturicchio in Santa Maria in Aracoeli

La prima cappella della navata destra della basilica, denominata Cappella Bufalini, presenta un ciclo di affreschi straordinari realizzati da Pinturicchio. Si tratta di pitture dedicate a San Bernardino da Siena che rischiò di morire proprio sulla scalinata di Santa Maria in Aracoeli perché incriminato di eresia e di idolatria per avere inventato il monogramma IHS, J Jesus H Hominum S Salvator. Il santo venne giudicato non colpevole e Pinturicchio, artista del Rinascimento umbro, tra il 1484 ed il 1486, dipinse questo ciclo di affreschi che descrive la vita terrena di Bernardo presentato, nella parete centrale, nelle vesti di asceta e sormontato da un Cristo in gloria ed angeli musicanti.

 

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Sulle pareti laterali troviamo scene della vita del santo ed il momento della morte in cui il pittore ha voluto inserire la contemporaneità degli abiti e delle acconciature delle persone della Roma della fine del Quattrocento. L’artista strizza l’occhio alla sua terra, riportando sui muri della chiesa il paesaggio a lui tanto caro, le colline umbre con il lago Trasimeno.

DALLA SALUS POPOLI ROMANI AL BAMBINELLO: UNA BASILICA RICCA DI SORPRESE
La Salus Popoli Romani e il Bambinello

La Salus Popoli Romani e il Bambinello

Ma nella basilica troviamo anche l’opera mirabile di Benozzo Gozzoli, attivo a Roma per affrescare la cappella della famiglia nobile romana degli Albertoni, di cui oggi conserviamo solo il pannello centrale relativo a Sant’Antonio attorniato da due angeli e dai due committenti. Il lacerto è molto ridotto ma si coglie la pittura di Gozzoli con la naturalezza dei lineamenti delle figure ed uno stile che si sta già aprendo al Rinascimento nonostante il forte legame ancora con il medioevo (si veda la presenza dell’oro).

Particolare è poi l’affresco della figura di una Madonna su una colonna. L’autore, seppur sconosciuto, è sicuramente una maestranza locale e l’icona duecentesca di stile gotico, che ricalca il modello di Cavallini, divenne da subito oggetto di devozione per la popolazione locale.

Lo stesso si può dire per l’icona votiva dell’altare, la Salus Populi Romani risalente alla seconda metà dell’XI secolo, realizzata su legno di cedro da maestranze romane che presero come modello le icone bizantine. Infine ricordiamo il Bambinello, la scultura in legno quattrocentesca trafugata nel 1994 e non ancora rinvenuta. Oggi nella cappella posta sulla sinistra dell’altare si trova una copia e rappresenta ancora uno degli oggetti sacri più venerati dai romani perché la sua figura è ritenuta prodigiosa e miracolosa.

Ringraziamo la guida Valeria Danesi – storica dell’arte e collaboratrice dell’associazione Bell’Italia 88 – per averci guidato con professionalità ed entusiasmo all’interno della Basilica di Santa Maria in Aracoeli.



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