Leonarda Cianciulli fu definita un mostro, l’incarnazione del male, l’alter ego della donna angelo del focolare, tutta casa e chiesa. Il suo nome, per diverso tempo, campeggiò sulle prime pagine dei giornali, monopolizzando buona parte delle chiacchiere degli italiani. Questa è la storia della Saponificatrice di Correggio, di un’assassina seriale che divenne l’archetipo della criminalità femminile.

LEONARDA CIANCIULLI: CHI ERA LA SAPONIFICATRICE DI CORREGGIO?

Reggio Emilia 12 giugno 1946. L’Italia da una manciata di giorni è una Repubblica. La guerra, il fascismo, la controversa monarchia sabauda sono già memoria. Ora le priorità sono altre. C’è un paese da ricostruire dalle macerie, una comunità nazionale da ricompattare dopo decenni di odio e divisioni.

Ma nella provincia emiliana, la città dove, sul finire del Settecento, nacque il Tricolore, le polemiche post referendarie e le beghe politiche sono ufficialmente accantonate.

In questo giorno di quasi metà giugno l’attenzione degli abitanti di Reggio Emilia e non solo è calamitata da una donna di mezza età, dalla folta chioma, di una disarmante normalità.

Questa donna si chiama Leonarda Cianciulli. La sua è una tipica storia italiana, fatta di fatica, sofferenza, povertà ed emigrazione, almeno fino al 17 dicembre 1939.

La saponificatrice

Leonarda Cianciulli

Leonarda Cianciulli nasce a Montella, un paesino in provincia di Avellino, il 14 aprile 1894. La sua è una famiglia modesta e numerosa, una delle tante in quel Meridione che a pochi decenni dall’Unità d’Italia non riesce ancora a emanciparsi. Il padre di Leonarda è un allevatore di bestiame, mentre la madre, Serafina Marano, è una casalinga, già vedova e madre di due figli avuti dal precedente matrimonio.

Nel 1917, mentre gli italiani combattono al fronte una guerra che sembra non terminare mai, Leonarda si sposa con Raffaele Pansardi, impiegato al catasto di Montella. Quel matrimonio, almeno a quanto racconterà in seguito la Cianciulli, non è benvoluto dalla famiglia, specie dalla madre che aveva in mente per la figlia Leonarda ben altro pretendente. Le nozze sono forse il definitivo motivo di scontro fra Leonarda e la madre, la pietra tombale su un rapporto già molto difficile.

La Cianciulli, anche per questo, lascia Montella e si trasferisce dapprima a Lauria, paese di origine del marito in provincia di Potenza e in seguito a Lacedonia, un comune dell’avellinese.

Ma il terribile terremoto del Vulture, nel luglio del 1930, che semina morte e distruzione, specie in Irpinia, cambia le carte in tavola.

Leonarda, che nel frattempo è diventata più volte madre ma che ha anche conosciuto il dolore della perdita dei figli (tredici fra aborti e morti premature) si trasferisce con la famiglia a Correggio, un paesotto in provincia di Reggio Emilia, famoso per aver dato i natali ad Antonio Allegri, meglio noto come Correggio, pittore singularissimo come lo definì il Vasari.

Al contrario di quanto si possa credere la Cianciulli si inserisce piuttosto bene nel contesto sociale di Correggio, dove ignorano i suoi precedenti penali che l’avevano portata addirittura in carcere per furto e truffa.

A Correggio Leonarda, anche per integrare il magro stipendio impiegatizio del marito, si dà da fare facendo la sarta e, soprattutto, la maga. Il mondo della chiromanzia, come scrive Barbara Bracco nel suo La saponificatrice di Correggio, una favola nera, «ricorre nella vita della Cianciulli soprattutto nei momenti più difficili della famiglia, e in special modo quando si tratta della salute dei figli», la vera ossessione di Leonarda, che si accosta a quelle pratiche, come lei stessa affermerà, perché non poteva più sopportare la perdita di un altro figlio. Così scrive nel suo memoriale:

«Quasi ogni notte sognavo le piccole bare bianche, inghiottite una dopo l’altra dalla terra nera… per questo ho studiato magia, ho letto i libri che parlano di chiromanzia, astronomia, scongiuri, fatture, spiritismo: volevo apprendere tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli».

I DELITTI DELLA SAPONIFICATRICE E IL MALDESTRO TENTATIVO DI OCCULTARE I CORPI

Ma per quale motivo Leonarda Cianciulli siede algida dentro una gabbia in aula del tribunale di Reggio Emilia in quel caldo giorno di metà giugno?

La risposta è semplice, questa donna, verso la quale convogliano inevitabilmente gli sguardi di decine di persone, è accusata di aver ucciso tre donne e di aver distrutto i loro corpi. Lei, per tutti, non è più Leonarda Cianciulli ma la Saponificatrice di Correggio.

Saponificatrice di Correggio

Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio

Il 13 giugno 1946, il giorno dopo la prima udienza, il cronista del “Nuovo Corriere della Sera” (l’aggettivo aggiunto al nome storico della testata giornalistica è il segno dei tempi, il tentativo di marcare la distanza con il passato) così descrive l’imputata:

«Leonarda Cianciulli non presenta caratteri esteriori degenerativi all’infuori di un viso asimmetrico, incorniciato da una abbondante capigliatura castana raccolta accuratamente in riccioli sulla fronte e dietro la nuca. I capelli sono brizzolati alle tempie e sulla faccia si notano larghe chiazze rossastre. Veste un abito di velluto scuro con una bianca camicetta di pizzo.»

Una descrizione di una donna banale, che si potrebbe incontrare in molte città italiane, i cui tratti, molto probabilmente, non avrebbero suscitato l’interesse neanche di Cesare Lombroso.

Descrizione fisica a parte, quello che conta sono le accuse e sono pesantissime. La Cianciulli, una sorta di Landru al femminile, è incriminata per l’uccisione di Ermelinda Faustina Setti, Francesca Clementina Soavi e, infine, di Virginia Cacioppo. I tre delitti, culminati con maldestri tentativi di saponificazione che conferiscono alla vicenda quelle sfumature diaboliche che tanto impressionano l’opinione pubblica, sono commessi fra il dicembre del 1939 e il settembre del 1940, mesi durante i quali il quadro politico europeo è profondamente mutato.

Il fragile equilibrio sancito dalla Conferenza di Monaco, nel settembre 1938, è definitivamente crollato. La guerra incendia buona parte del vecchio continente ma l’Italia ne è ancora fuori, grazie allo stratagemma della non belligeranza. Ma sarà ancora per poco. A giugno Mussolini si farà prendere dal sacro fuoco bellico accompagnando gli italiani sull’orlo nell’abisso.

La prima vittima della Saponificatrice di Correggio è Ermelinda Faustina Setti che la Cianciulli attira nella sua trappola omicida facendole credere di averle trovato un marito a Pola. La Setti, nonostante la non tenera età di 73 anni, è nubile ma sogna ancora di trovare l’uomo della vita.

Il 17 dicembre l’anziana donna è a casa della Ciaciulli per ricevere alcune istruzioni prima di partire alla volta di Pola e per firmare una delega alla Cianciulli per gestire in sua assenza i suoi beni. La Setti, però, dopo aver autografato l’importante foglio, viene prima stordita dal laudano contenuto nel caffè e poi colpita alla testa con una scure. Ancora la storica Bracco: «Dei tre delitti il più maldestro è stato certamente il primo, se è vero – come lei stessa fece mettere a verbale – che per paura di aver solo tramortito la sua vittima, mentre questa era seduta in una vecchia poltrona, la strangolò con un laccio».

Dopo aver ucciso la donna la Cianciulli si dà da fare per distruggere il corpo, nel frattempo sezionato in nove pezzi a colpi di ascia. Ecco come la stessa racconta nel suo lungo memoriale, oltre 800 pagine, le varie fasi della distruzione del cadavere, inserendo anche particolari decisamente raccapriccianti:

«Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno, lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io».

La seconda vittima della Saponificatrice di Correggio è un’insegnante di cinquantacinque anni. Lavora in un asilo privato ma non è soddisfatta di quel lavoro. Leonarda lo sa e le promette un posto in un collegio a Piacenza. Anche questa donna, come la Setti prima e la Cacioppo poi, è una credulona, incapace di rassegnarsi a un’esistenza infelice, segnata dalla vedovanza. Per questo si affida in toto alla Cianciulli, certa che quella donna, seppur strana, possa davvero fare qualcosa di concreto, ignorando, invece, di andare incontro alla morte.

Il 5 settembre 1940 la maestra, dopo essere entrata nell’abitazione dell’omicida e aver firmato la consueta delega a poter vendere i beni, subisce «la stessa sorte delle altre» come dichiarerà la stessa Cianciulli nella deposizione del 24 giugno 1941, dopo aver, invero, negato più volte la responsabilità di quell’omicidio, nonostante si fosse già attribuita quella degli altri due.

Virginia Cacioppo è l’ultima vittima della Saponificatrice di Correggio. Viene uccisa il 30 novembre 1940. La donna, ex cantante lirica di 59 anni, vedova e senza figli, è attirata in casa della Cianciulli con il pretesto di un lavoro come segretaria presso un impresario teatrale di Firenze.

Sarà proprio la scomparsa della Cacioppo, denunciata ai carabinieri dalla cognata, Alberta Fanti, a far partire, non subito in verità, le indagini che si allargheranno, in seguito, anche alle altre due donne, ufficialmente scomparse.

La voce che da tempo gira in paese su alcune strane coincidenze fra la sparizione delle donne e la Cianciulli sembra più di un pettegolezzo e questo nonostante alcune precauzioni messe in atto dalla Cianciulli per depistare i sospetti, come far recapitare ad alcune amiche della Soavi, da Pola, delle cartoline, spedite dalla cittadina dalmata.

Sul finire dell’inverno le indagini segnano una svolta. Il 3 marzo 1941 la donna originaria di Montella viene arrestata e dopo alcuni mesi di carcere, nell’ottobre dello stesso anno, è trasferita nella sezione criminale del manicomio di Aversa, in provincia di Napoli, diretto dal professor Saporito.

Nell’ospedale psichiatrico la Saponificatrice di Correggio inizia a scrivere in modo vorticoso, pagine e pagine di memorie in cui racconta, talvolta probabilmente reinterpretandoli, i fatti criminosi di cui è stata responsabile. Ma non scrive solo, legge anche moltissimo, principalmente opere quali l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, brani della Bibbia e libri gialli che, a detta del professor Saporito, l’appassionano molto.

Di tempo, d’altra parte, ne ha molto, anche perché il processo, complice la grande storia, è ancora lontano.

IL PROCESSO E LA CONDANNA DELLA CIANCIULLI

Fin dalle prime battute processuali, specie con l’irrompere sulla scena dell’illustre psichiatra Saporito, perito del tribunale, emerge con forza come la triplice omicida venga vista innanzitutto come una psicopatica. Per la difesa, cosa pressoché ovvia ma anche per Saporito, la natura puramente delinquenziale alla base degli efferati omicidi è fin da subito scartata a favore di ragioni patologiche.

La Cianciulli, in sostanza, ha commesso quei delitti perché psicopatica, affetta da una grave forma di isteria che lo scoppio della guerra ha naturalmente e inevitabilmente slatentizzato, ovvero fatto riemergere.

Il movente economico alla base degli omicidi (la Cianciulli si appropria di tutti i beni, seppur modesti, delle vittime, facendo anche degli acquisti nei giorni successivi, tra cui un apparecchio radio) pur rappresentato dalla pubblica accusa non viene debitamente messo in risalto. Il procuratore, infatti, come ricorda la storica Bracco non rinuncia «ad inserire alcune note sui protagonisti della “diabolica matassa” che, se [hanno] lo scopo di aggiungere ulteriori elementi di prova ai principali capi di imputazione (triplice omicidio, furto, distruzione di cadavere) [offrono] anche un piccolo affresco della vita di provincia negli anni del fascismo e della guerra».

Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio

Leonarda Cianciulli, la saponificatrice

Insomma per la giustizia, la psichiatria, i media e ovviamente l’opinione pubblica l’immagine di una moderna strega, che usa normali oggetti quali il seghetto o il martello e che scioglie in grandi pentoloni le sue vittime, piace di più rispetto a quella di una lucida omicida che uccide essenzialmente per ricavare soldi per tirare avanti la famiglia, specie dopo la definitiva fuga del marito.

Un ruolo, quello di donna nera, simbolo della criminalità femminile che attrae alla fine anche la stessa Cianciulli che, infatti, nel corso delle varie udienze non lesina né particolari raccapriccianti tanto meno demoniache invocazioni a Caronte, Barbablù e addirittura Satana per abominare «i maledetti questurotti e questore» colpevoli di aver minacciato nei primi interrogatori l’arresto di tutta la famiglia.

La famiglia, il motivo per cui la Cianciulli compie tutto, la sua unica ragione di vita. Il delirio criminale della Saponificatrice di Correggio, come anni dopo scriverà il criminologo Augusto Balloni in un libro sulla vicenda, «scattò poco prima della guerra, quando i suoi due figli maschi più grandi, tra cui il prediletto Giuseppe, furono dichiarati idonei alla leva. Il terrore di vederseli strappar via, per rischiare la vita sul fronte, causò il black-out mentale».

Proprio la volontà di scagionare i figli fa sì che la donna, durante tutto il processo, cerchi sempre di accollarsi la responsabilità dei delitti, smentendo categoricamente il coinvolgimento, in particolare dell’amato Giuseppe.

“SE MI VOLETE TORTURARE, TORTURATEMI”

Al medico legale, che al pari della Corte, nutre sospetti sulla possibilità che una donna così minuta possa aver fatto tutto da sola, specie le operazioni di distruzione dei cadaveri, la Cianciulli serafica risponde: «Mi ascolti bene, professore. Metta a mia disposizione un cadavere e gli strumenti che mi avete sequestrato e vi dimostrerò che posso farlo in un quarto d’ora.»

Calata, oramai, totalmente nel personaggio, poco prima della sentenza, con teatralità acquisita, la Cianciulli così si congeda: «So di essere una grande colpevole di fronte agli uomini. Mi guardo queste mani e me le vorrei tagliare; mi vorrei strappare gli occhi per non vedere più; ma solo io e Iddio sappiamo perché ho ucciso. Se mi volete condannare, se mi volete passare nel tritacarne, passatemi; se mi volete torturare, torturatemi; se volete cospargermi di benzina e darmi fuoco, bruciatemi. A me non importa nulla. Avrei voluto essere morta prima, e se ho resistito cinque anni in carcere è soltanto per ripetere oggi che mio figlio è innocente. Mio figlio non ha fatto nulla, non ha mai sospettato di nulla».

E la condanna, alfine, arriva. Il 20 luglio 1946, dopo due ore di camera di consiglio, in un’aula a tal punto piena che il pubblico occupa pure i tavoli degli avvocati, la Corte si pronuncia.

Leonarda Cianciulli viene riconosciuta colpevole per i reati di omicidio, furto e vilipendio di cadavere e condannata a trent’anni. Il figlio Giuseppe, invece, come lei aveva sempre sperato, viene assolto, seppur con la formula dubitativa.

Su quella vicenda di cronaca nera, che per settimane ha magnetizzato l’attenzione di moltissimi italiani, scende platealmente il sipario. L’infermità mentale, a cui si era appellata la difesa dell’imputata e il professor Saporito, è solo in parte riconosciuta.

La Corte, di fatto, fa sue le conclusioni dell’accusa che aveva sottolineato come l’anormalità della donna, su cui nessuno può obiettare, non è di per sé sufficiente a spiegare da sola quei terribili omicidi, perché «non tutti gli anormali sono degli irresponsabili perché altrimenti non ci sarebbero manicomi per accoglierli tutti».

E nel manicomio la Saponificatrice di Correggio ci torna e ci rimane per sempre. È rinchiusa prima in quello di Aversa, dove era già stata poi, dal giugno del 1955, in quello di Pozzuoli. Ad alcune internate una volta nel pieno della monotonia che le pervade, eterea confida: «le carte mi dicono che sarò libera nel 1970» e per certi aspetti sarà così.

Leonarda Cianciulli muore il 15 ottobre 1970 per apoplessia cerebrale.

 

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