Con la chiesa dell’Ara Coeli, sulle pendici del Campidoglio, il Sancta Sanctorum rappresenta uno dei migliori esempi di arte gotica a Roma, un piccolo, prezioso gioiello che, però, ammalia per bellezza e rarità, lasciando il visitatore letteralmente estasiato.
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SCALA SANTA DI ROMA E SANCTA SANTORUM
Sancta Sanctorum
Abbagliati dalla magniloquente imponenza della basilica di San Giovanni in Laterano, il nostro sguardo a malapena scorge l’edificio alla destra della cattedrale di Roma. Eppure dentro quel luogo, da fuori quasi anonimo, si cela una delle meraviglie della Capitale: il Sancta Sanctorum.
Il toponimo latino potrebbe, già da solo, bastare a suscitare un senso di meraviglia che diventa reale non appena si varca la stretta porta che permette di accedere a un luogo davvero unico.
Stiamo parlando della chiesa di San Lorenzo in Palatio ad Sancta Sanctorum, più nota, come Sancta Sanctorum, per la cristianità il luogo più santo di tutti.
Il Sancta Sanctorum, il cui nome rievoca quella porzione del Tempio di Gerusalemme dove era custodita l’Arca dell’Alleanza (la cassa in legno nella quale secondo la tradizione ebraica erano conservate le tavole della legge affidate da Dio a Mosè), celava al suo interno, tra le molte reliquie, un frammento della tavola dell’Ultima Cena, ancora oggi visibile, nonché le teste dei Santi Pietro e Paolo, in seguito trasferite nella vicina basilica di San Giovanni in Laterano e custodite in un prezioso reliquiario, opera di Arnolfo di Cambio.
ACHEROPITA LATERANENSE, UN’ICONA SACRA
Acheropita lateranense e affresco raffigurante Niccolò III
Ma la reliquia più importante di tutte quelle custodite in questo luogo simbolo della cristianità, ancora oggi troneggiante nel bel mezzo dell’altare, è l’Acheropita lateranense. Si tratta di un’antichissima immagine che mostra il volto di Gesù e sulla cui origine e datazione gli storici dell’arte non sono ancora del tutto concordi.
Per alcuni si tratterebbe di un’opera romana risalente al V/VI secolo, per altri, invece, sarebbe un’icona di origine bizantina, più o meno ascrivibile al VII secolo. Datazione a parte, rimane la sacralità dell’oggetto, venerato, come riporta il Liber Pontificalis, già a partire dell’VIII secolo, quando l’Acheropita divenne il “palladio” di Roma, ovvero un’immagine miracolosa in grado di proteggere la città da ogni sorta di pericolo.
Non a caso nel 753 questa sacra immagine fu portata da papa Stefano II in processione per le vie della città per scongiurare il pericolo dell’assedio Longobardo.
La consuetudine di portare l’Acheropita lateranense in processione si consolidò nel corso del Medioevo, quando l’immagine sacra era ostentata sia durante la Settimana Santa che nella notte precedente la festa dell’Assunzione, ricorrenza, quest’ultima, molto sentita a Roma.
In questa circostanza il volto di Cristo veniva portato in processione dalla chiesa di San Giovanni in Laterano a quella di Santa Maria Maggiore, passando per il Foro romano.
Un’icona particolarmente cara al popolo romano e legata a un’inveterata tradizione che la rese, fin da subito, preziosissima.
La leggenda vuole che Maria e gli apostoli, dopo la morte di Gesù, chiedessero a San Luca di dipingere un’immagine di Cristo. L’evangelista accettò di buon grado ma al momento di mettersi all’opera trovò il dipinto già fatto, splendido nella sua assoluta, miracolosa perfezione.
Chi lo aveva dipinto? Un angelo, per questo l’icona fu chiamata acheropita, termine greco che letteralmente significa “non fatto da mano”, ovviamente da mano umana.
Nel corso del XIII secolo, per volontà di papa Innocenzo III, la tavola, per motivi ornamentali ma principalmente protettivi, fu rivestita da una sottile lamina d’argento, ancora oggi presente, che mostra solo il volto del Salvatore.
Si tratta di una copertura preziosissima, frutto di un minuzioso lavoro di oreficeria, con tecnica a sbalzo, in cui compaiono una serie di volti di santi e cherubini, impreziositi da numerose gemme preziose.
SANCTA SANCTORUM: TRA MARMI PREGIATI E MIRABILI AFFRESCHI
Situata all’interno del complesso tardo rinascimentale della Scala Santa, questa piccola chiesa, in origine cappella privata papale, è ciò che resta dell’antico Patriarchìo, il palazzo papale che sul finire del 1500 fu quasi completamente abbattuto per volontà del pontefice Sisto V.
Il palazzo, infatti, durante la cosiddetta cattività avignonese (il trasferimento obbligato del papa e della sua corte ad Avignone, in Francia, nel 1307), così come tutta la zona del Laterano era caduto in disgrazia. La situazione, se possibile, peggiorò con il ritorno del papa a Roma nel 1377. Questi, infatti, stabilì di lasciare il palazzo del Laterano per trasferirsi in una nuova zona della città: quella del Vaticano.
Quando, sul finire del XVI secolo, l’architetto di fiducia di Sisto V immaginò di ripensare tutta la zona del Laterano, le condizioni in cui si presentava il Patriarchìo, erano decisamente pessime. Per questo Domenico Fontana decise di abbattere l’antico palazzo papale del Laterano, salvando solo la cappella di San Lorenzo.
Fu la sacralità del luogo a proteggerlo dalla devastazione. Anche per un iconoclasta del passato come Domenico Fontana, colui che aveva progettato di trasformare il Colosseo in un’immensa filanda, con tanto di abitazioni per gli operai, distruggere il luogo più sacro della cristianità era oggettivamente troppo.
La cappella, come la vediamo oggi, è il risultato dei lavori di restauro voluti da papa Niccolò III nel 1278, che mutarono sensibilmente l’originario impianto del piccolo edificio religioso risalente all’VIII secolo d.C. Di fatto l’antica cappella fu del tutto ricostruita e decorata secondo il gusto dell’epoca.
E per abbellire un luogo così importante, papa Orsini non badò decisamente a spese, affidandosi alle maestranze più richieste. Chiamò, quindi, i migliori tra i frescanti, mosaicisti e marmorari su piazza, per decorare al meglio quello che, come ricorda l’iscrizione latina che campeggia sopra l’altare, era un luogo unico:
Non est in toto sanctior orbe locus [Non esiste in tutto il mondo luogo più santo]
Fra le maestranze che lavorarono nella piccola cappella ci furono innanzitutto i Cosmati, come ricorda la piccola lastra nei pressi della porta d’ingresso della cappella: Magister Cosmatus fecit hoc opus (“il maestro Cosma realizzò quest’opera”).
Si trattava, insieme alla famiglia dei Vassalletto, dei migliori marmorari e scalpellini romani, la cui preziosa opera era da decenni rinomata e ambita e non solo nella città del papa.
A loro spettò la decorazione in marmo del Sancta Sanctorum e il risultato finale fu magnifico, grazie alla maestria dei Cosmati ma anche alla tipologia dei marmi utilizzati, alcuni davvero rari come il porfido rosso, conosciuto anche come il marmo dei Faraoni, estratto in cave situate nel deserto egiziano e che nel Medioevo era pressoché esaurito.
Non meno splendidi sono gli affreschi, a partire da quello presente nelle vele dei costoloni e riproducenti il Tetramorfo, l’insieme dei simboli dei quattro evangelisti, il leone di San Marco, l’angelo di San Matteo, il bue per San Luca e, infine, l’aquila simbolo iconografico di San Giovanni.
Altrettanto significativo è l’apparato decorativo dell’altare e di tutte le cunette soprastanti la lunga teoria di santi, quest’ultimi realizzati sul finire del Cinquecento.
Si tratta, nel caso degli affreschi medievali, di un apparato pittorico di grande rilevanza, perché segnò la rinascita del realismo in pittura dopo secoli dominati dall’impronta bizantina, contrassegnata dalla fissità delle scene, dalla ieraticità dei personaggi.
Così su queste opere, il grande storico dell’arte Federico Zeri, che partecipò al loro restauro, si espresse:
«La descrizione dell’individuo anche nei suoi difetti fisici, la ricerca della terza dimensione spaziale, la valorizzazione del rapporto fra corpo e ambiente circostante – tutti elementi nuovi che assumeranno un’evidenza palmare in Giotto qualche decennio dopo – sono fattori già presenti in queste opere romane».
Questi straordinari affreschi, che riproducono perlopiù scene salienti della vita di santi quali Agnese, Paolo, Pietro, Lorenzo e Nicola, nonché un devotissimo Niccolò III nell’atto di offrire il modellino della cappella, furono realizzati da mani ad oggi, purtroppo, rimaste ancora anonime, nonostante complesse ipotesi attributive avanzate nel corso dei decenni da diversi critici d’arte.
Visitare il Sancta Sanctorum (per acquistare il biglietto clicca qui) equivale a compiere un viaggio nella meraviglia dell’arte medievale, fra mosaici straordinari, preziosi marmi e affreschi di impareggiabile modernità e bellezza.
Ringraziamo in particolare Valeria Danesi di Bell’Italia 88 che in una splendida giornata autunnale, di quelle che solo Roma sa regalare, ci ha portato nello scrigno prezioso del Sancta Sanctorum, fra storia, leggende e meravigliose suggestioni.
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