I numeri sono nati quando l’uomo ha sviluppato le sue cognizioni intellettuali ed ha sentito l’esigenza di assegnare un segno grafico, un simbolo ad una quantità. Siamo così abituati al loro utilizzo che non ci domandiamo da dove provengano e come si siano sviluppati all’interno di civiltà differenti. Il sistema di numerazione che utilizziamo oggi, quello arabo, non appartiene alla nostra formazione culturale ma è stato importato perché ritenuto più idoneo a consentire operazioni più complesse. I Romani, infatti, adoperavano le lettere dell’alfabeto per identificare un numero ma ciò non consentiva di eseguire i calcoli. L’abaco, un antico strumento costituito da palline che si muovevano su un filo metallico, era l’apparecchio per eseguire operazioni semplici, quotidiane ma non era utile per effettuare moltiplicazioni o divisioni. A complicare le cose poi c’era un’altra problematica: l’assenza del numero zero. Ma qual è la storia dello zero?
STORIA DELLO ZERO, DA BRAHMAGUPTA A FIBONACCI
Leonardo Fibonacci e Brahmagupta
La storia dello zero ha origini molto lontane. Furono gli Arabi ad apportare la loro sapienza e la loro conoscenza al nostro sistema numerico, veicolando dall’India quanto avevano appreso. Fu, infatti, il matematico indiano Brahmagupta nel VII secolo ad adottare per primo il numero zero e ad introdurre il sistema posizionale, metodo che concepiva l’importanza della dislocazione del numero il quale, in base alla posizione assunta, poteva indicare un’unità, una decina, un centinaio e così via.
Gli Arabi, appreso il nuovo sistema di calcolo, lo diffusero nelle terre che via via andarono conquistando. Giunti in Spagna nel 711 dominarono a lungo nella parte meridionale della penisola iberica e nell’827 conquistarono anche la Sicilia. La loro cultura penetrò in tutta Europa introducendo metodi e lessici legati al mondo dell’astronomia, della matematica, della medicina.
Nelle lingue europee vennero introdotti nuovi termini legati all’erudizione araba: al gabr (restaurazione, riduzione) divenne in italiano algebra, sifr صفر (vuoto) – derivato dal sanscrito sunyà – nella nostra lingua diede vita alle due parole cifra e zero. Questi due termini, al momento della loro introduzione nel nostro vocabolario, avevano la stessa accezione ed indicavano lo zero; soltanto nel XV secolo avvenne una divaricazione semantica: cifra conobbe un’estensione lessicale che arrivò ad indicare tutti gli altri numeri, mentre la parola zero continuò ad avere il significato che ancora oggi attribuiamo al termine.
Fu Leonardo Fibonacci, matematico pisano e figlio di un mercante, ad introdurre in Europa il sistema posizionale ed il segno zero; dopo essere entrato in contatto con alcuni matematici arabi a Bugia, vicino ad Algeri, Fibonacci scrisse nel 1202 il Liber Abaci, in cui spiegava il nuovo metodo di calcolo appreso, che assegnava un valore diverso ad uno stesso numero in relazione alla posizione che questo assumeva. In più si parlava per la prima volta dello zephirum, il nuovo segno grafico dello zero che entrava a far parte della nostra numerazione simboleggiando il concetto di vuoto, l’unico numero reale a non essere né positivo né negativo e che successivamente divenne zefiro, zefro, zero.
Fibonacci nel suo libro scrisse che “le nove cifre indiane sono: 9 8 7 6 5 4 3 2 1. Con queste nove cifre e con il segno 0, che gli arabi chiamano zefiro, si può scrivere qualsiasi numero come è dimostrato sotto”. Il matematico pisano aveva studiato a fondo gli scritti di al-Khwārizmī, matematico arabo vissuto a cavallo tra VIII e IX secolo, ed aveva capito l’importanza di quanto aveva appreso ma per lui lo zero era ancora semplicemente un simbolo tanto che “il zeuero per sé solo non significa nulla ma è potentia di fare significare. Et decina o centinaia o migliaia non si puote scrivere senza questo segno 0”. Dovette passare altro tempo per promuovere lo zero a numero ed annoverare anch’esso tra le cifre che quindi passarono da nove a dieci.
Molti impedimenti furono frapposti in Europa a questo nuovo metodo, ostacolato dal fatto che il nuovo sistema di numerazione posizionale fosse stato introdotto da un popolo infedele. Ma cosa cambiava effettivamente e perché, dopo le prime resistenze, si accettò il nuovo sistema di calcolo? I mercanti italiani, che commerciavano in tutto il mondo, trassero beneficio fin da subito dal nuovo metodo indo-arabico, potendo svolgere operazioni matematiche complesse in breve tempo. I calcoli potevano essere eseguiti rapidamente, ottimizzando il tempo e registrando velocemente le transazioni effettuate.
L’introduzione così tarda del numero zero si ripercuote tutt’oggi nel nostro modo di calcolare gli avvenimenti storici, producendo uno scarto di un anno nella cronologia che ancora oggi utilizziamo per collocare un evento, dando vita di fatto a quel salto temporale che avviene tra l’anno 1 a.C. e l’anno 1 d.C. Il monaco Dionigi il Piccolo nel VI secolo, infatti, decise di calcolare la nascita di Gesù e, dopo avere condotto i suoi studi, la computò e la assegnò a quello che convenzionalmente divenne l’anno 1 a.C.; da tale data si iniziarono a contare gli avvenimenti successivi partendo dal primo numero conosciuto: l’uno appunto e non lo zero.
Ti potrebbe interessare anche:
Leggi anche: Gli scacchi: storia di un gioco avvincente