Se vi capita di passare dalle parti di via di Tor Marancia, una strada che a Roma in molti percorrono per andare e venire da via Cristoforo Colombo, provate a fermarvi, anche un solo attimo. Poi semplicemente alzate gli occhi, guardatevi intorno e vi renderete conto che alcuni dei palazzi vi serberanno una bellissima sorpresa. Le facciate delle case – di questo che fu il quartiere dove Agostino Di Bartolomei calciò i suoi primi palloni passando dal sogno di un bambino alla realtà di un calciatore – sono un vero e proprio museo a cielo aperto. Ma come nasce la Street Art a Tor Marancia?

STREET ART A TOR MARANCIA: UN MUSEO A CIELO APERTO

Murales a Tor Marancia

Murales a Tor Marancia

Tor Marancia, il cui toponimo probabilmente deriva dalla deformazione medievale di Amaranthus, nome di un liberto che prese in gestione la tenuta agricola e la villa della famiglia Numisia Procula nel II secolo d.C., sorse rapidamente nei primi anni Trenta per volere del regime fascista, che aveva necessità di dare una sistemazione a coloro che avevano perso casa in seguito alla creazione di Via dei Fori Imperiali. Nel corso degli anni la borgata fu ribattezzata dagli abitanti “Shangai”, per via dei periodici allagamenti dovuti all’infelice collocazione in una zona infossata. Solo alla fine della Seconda Guerra mondiale il quartiere romano assumerà la sua veste attuale. Nell’ambito, infatti, della ricostruzione di una capitale piegata dal conflitto, anche questa porzione di città fu interessata da un’opera di riqualificazione delle borgate, in ossequio alla legge De Gasperi.

Le nuove case iniziarono ad essere costruite nel 1947. Si trattava di edifici di pochi piani affacciati su giardini interni, secondo uno stile architettonico che in quegli anni caratterizzerà molti altri quartieri di Roma. Nel 1960 il nuovo quartiere di Tor Marancia veniva terminato e della vecchia borgata “Shangai” non rimaneva più nulla. Gli acquitrini, le case trasformate in palafitte, i pesci pescati in cucina come raccontano ancora alcuni anziani, erano solo un lontano, umido ricordo.

MURALES DI TOR MARANCIA: I PALAZZI DIVENTANO ARTE

Street Art a Tor Marancia

Street Art a Tor Marancia

Proprio il riferimento a Shanghai, però, fu all’origine della nascita dei bellissimi murales di Tor Marancia che oggi fanno di questo quartiere, a cavallo fra la Cristoforo Colombo e l’Ardeatina, un suggestivo museo all’aperto. Quando lo street artist Mr. Klevra vide su un muro di una delle palazzine del primo lotto la scritta “Welcome to Shanghai”, rimase molto colpito e pensò che quell’anonimo e solitario murale potesse essere il primo di tanti. Poco dopo il sogno di Mr. Klevra divenne realtà, grazie a 756 litri di vernice, 974 bombolette spray e solo 170 mila euro. Promosso dall’associazione culturale 999 contemporary, il progetto Big City Life vide la luce nel 2015, dopo aver vinto il bando pubblico “Roma Creativa”.

Ventidue artisti, provenienti da più parti del globo, fra cui Filippine, Portogallo, Italia, Australia e Germania, realizzarono in 43 giorni (dal 27 febbraio al 9 marzo 2015) sulle facciate delle case popolari del lotto 1 di Tor Marancia il primo esempio di museo condominiale. Compreso nel quadrante delimitato da via Valeria Rufina, via Annio Felice, via di Santa Petronilla e, naturalmente, via di Tor Marancia, il lotto 1 racchiude un piccolo gioiello di Street Art, la dimostrazione che la bellezza può e deve avere residenza ovunque.

I murales di Tor Marancia, protagonisti anche della 15° Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, sono tutti differenti fra loro, espressione della creatività dei loro autori. I primi che si notano, percorrendo la via, sono Il Bambino redentore e Il Peso della Storia. Il primo, realizzato dal francese Julien Malland, per tutti Seth, racconta una storia vera. Si vede un bambino, ripreso di spalle, nell’atto di arrampicarsi su una scala fatta di matite colorate. Il murale è ispirato alla drammatica storia di Luca, un bambino del quartiere, morto tragicamente mentre giocava a calcio. Accanto un altro capolavoro, quello dell’argentino Franco Fasoli, in arte Jaz. L’opera, progetto pilota del Big City Life, raffigura due lottatori. Il primo, un argentino, tiene sulle spalle il collega italiano, allegoria del profondo legame che unisce l’Argentina e l’Italia.

Ma le sorprese della Street Art a Tor Marancia non finiscono qui. Se ci si addentra nei giardini del primo lotto ecco apparire altri splendidi murales. Uno di questi è Santa Maria di Shanghai di Mr Klevra che raffigura, con uno stile chiaramente ripreso dall’iconografia bizantina, una Madonna con il bambinello che, come lo stesso autore ha raccontato alla giornalista Annalisa Camilli di “Internazionale”, è la metafora dell’abbraccio di Roma alla sua borgata.

Toccante è anche l’opera Veni, Vidi, Vici dei francesi Lek&Sowat che, ispirandosi al celebre motto pronunciato da Cesare, rende omaggio ad Andrea Vinci, un bambino del quartiere che a causa di un tuffo da uno scoglio perse l’uso degli arti inferiori ma non la voglia di vivere, di combattere. Colpiscono anche Piramide, del britannico Best Ever o Io sarò dell’austriaco Guido Van Helten, che fa bella mostra di sé su via di Santa Petronilla.

Impossibile non soffermarsi davanti a Rinnovamento, Maturità di Gaia, nome d’arte di Andrew Pisacane. L’artista statunitense, uno dei maggiori artisti nel suo genere, ispirandosi allo stile di De Chirico, ha dipinto una grossa arancia, in riferimento al toponimo del quartiere, sullo sfondo di un rassicurante cielo blu.

Descriverli tutti è un’impresa improba. Il consiglio è di camminare fra le palazzine facendosi rapire dall’incanto di queste opere e, magari, di fermarvi a parlare con alcuni abitanti di questo pittoresco quartiere e farvi trasportare sulle onde dei loro racconti colorati che sanno di storia e leggenda.

I murales della Street Art a Tor Marancia sono stati già visitati da oltre cinquantamila persone e recentemente oggetto di uno specifico documentario della BBC e dell’attenzione, nel corso degli anni, di ben 38 università mondiali. Questo museo a cielo aperto, oltre che un pezzo di arte che rivaluta una periferia attraverso la bellezza – che, come diceva il protagonista de L’Idiota di Dostoevskij, può rovesciare il mondo – è la dimostrazione che la multiculturalità è un valore da non disperdere, la risposta a coloro che vivono la diversità come un pericolo e non come una straordinaria risorsa.



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