È uno dei monumenti più noti e al tempo sconosciuti di Roma. La sua forma circolare che si erge nella piana del Foro Boario è per chiunque, sia che transiti in macchina o a piedi, immediatamente riconoscibilissima. Ma se noto è l’aspetto, meno è la storia di questo originale edificio, le cui origini affondano le radici in un passato lontano. Stiamo parlando del Tempio di Ercole Vincitore, il più antico tempio in marmo giuntoci, quasi intatto, fino ai nostri giorni.

FORO BOARIO: IL CENTRO COMMERCIALE DELLA ROMA ANTICA

Tempio di Ercole Vincitore

Tempio di Ercole Vincitore al Foro Boario

Situato in uno dei punti strategici dell’antica Roma, la piana del Foro Boario fu la culla di Roma, dove tutto ebbe inizio. Alla base della scelta degli antichi romani di costruire in questa area le loro prime abitazioni, fu la vicinanza del Tevere che in quella zona era completamente guadabile, elemento non certo trascurabile.

Accanto alla storicità dell’area, confermata da ripetute scoperte archeologiche, si aggiunge la leggenda che con la sua voce conferisce mistero e magia.

A due passi dal Tempio di Ercole Vincitore, dietro la tozza sagoma del Tempio di Giano, si arenò la cesta con dentro Romolo e Remo che, placidamente sospinta dalle acque del Tevere, terminò il suo percorso a pochi metri dal Lupercale, la mitica grotta dove viveva la lupa che allattò i gemelli più celebri della storia.

Questa zona, che fino al VI secolo a.C. fu il vero centro di Roma, divenne ben presto il fulcro delle più importanti attività commerciali, luogo di scambi, di contrattazioni, dove si intrecciavano culture e tradizioni, storie e leggende.

Fra le merci vendute c’era innanzitutto la carne, da qui il nome di Foro Boario, dal latino bovarium e poi il sale.

Il sale arrivava via fiume, dalle saline di Ostia Antica, su specifiche imbarcazioni che attraccavano nel porto Tiberino, all’epoca collocato dietro l’attuale palazzo dell’anagrafe e che per tutta l’età repubblicana fu il porto di Roma, salvo, poi, con l’espandersi della città, essere sostituito da quello di Ripa Grande, nei pressi della via Portuense.

Il sale, una delle materie più preziose nell’antica Roma (non a caso i legionari venivano pagati in sale, da qui il comune termine salario), una volta stoccato nei grandi magazzini dell’Aventino, veniva successivamente distribuito attraverso principalmente la Salaria, la via del Sale, per l’appunto.

Il Foro Boario, il luogo che secondo la mitologia fu teatro dell’epico scontro fra Ercole e il gigante Caco, che vide quest’ultimo soccombere, fu per tutta l’età repubblicana il centro degli affari e dei commerci. La maggior parte delle merci passava per questo luogo primario, anche per la presenza nelle immediate vicinanze di due fondamentali ponti: Ponte Sublicio e Ponte Emilio.

Il primo, realizzato interamente in legno (il nome sublicio deriva da sublicae, letteralmente “tavole di legno”), fu costruito, stando al racconto di Dionigi di Alicarnasso, per volere del re Anco Marzio, nel VII secolo a.C. Ponte Emilio, invece, il primo in muratura, fu costruito più a nord di Ponte Sublicio, a ridosso dell’isola Tiberina. Il nome, tradizionalmente attribuito al censore Marco Emilio Lepido, mutò sul finire del Cinquecento nel più noto Ponte Rotto, a seguito degli effetti catastrofici determinati sulla struttura dall’alluvione del 1598.

Con la caduta dell’Impero romano, la zona del Foro Boario conobbe un rapido e inesorabile declino che la trasformò durante il Medioevo in un luogo degradato, al punto da essere considerato un posto poco raccomandabile, sinistra fama che mantenne anche nei secoli successivi quando l’area fu ribattezzata bordelletto, dalla presenza di numerose prostitute di infimo rango.

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A rendere ancora più fosca la reputazione di questa zona contribuì la scelta di farne uno dei luoghi prediletti per le esecuzioni capitali. Al Foro Boario spiccò più di una testa il boia più famoso di Roma, quel Giovanni Battista Bugatti, per i romani semplicemente Mastro Titta.

TEMPIO DI ERCOLE:  LE ORIGINI

Il tempio di Ercole al Foro Boario

Il tempio di Ercole al Foro Boario

A volere la costruzione del tempio fu, e non poteva essere altrimenti, un commerciante, tale Marco Ottavio Erennio che, dopo un passato da flautista, tentò la strada del commercio, iniziando la compravendita di olive, attività che in poco tempo lo rese particolarmente ricco, al punto da poter commissionare la costruzione di un tempio da dedicare a Ercole Oleario, protettore degli oleari, la potente corporazione alla quale Erennio apparteneva.

La decisione di dedicare un edificio religioso a una divinità che seppur greca di nascita era diffusissima anche a Roma, fu legata a un voto che il commerciante fece a seguito di un sventato attacco in mare contro delle sue imbarcazioni da parte dei temutissimi pirati.

Così, intorno al 120 a.C., cominciò la costruzione del tempietto per la quale il devoto commerciante non badò a spese. Decise di affidarsi a un’autorità in materia, l’architetto greco Ermodoro di Salamina, a cui chiese di realizzare un’opera che celebrasse nel migliore dei modi la potenza di Ercole, il cui culto nella zona del Foro Boario era già largamente diffuso.

Ermodoro realizzò il tempio in marmo, facendo arrivare la preziosa materia prima direttamente dalla sua Grecia. L’architetto scelse una delle qualità di marmo più preziose e costose, il pentelico, così chiamato dal nome del monte, a nordest di Atene, da cui veniva estratto.

Il risultato finale fu un edificio che nelle forme imitava il vicino Tempio di Ercole Invitto eretto nel 142 a.C. da Scipione l’Emiliano presso l’Ara Massima e abbattuto nel XV secolo. Il nuovo tempio era di tipo monoptero periptero, cioè a pianta circolare e circondato da colonne, forma tipica dell’architettura religiosa greca (il cerchio è da sempre simbolo di perfezione), che a Roma, pur non diffusissimo, era tuttavia presente, come nel caso del tempio di Vesta al Foro Romano, o a quello nell’area sacra dell’Argentina, in Campo Marzio.

Ermodoro circonda il suo tempio con venti colonne scanalate, sormontate da capitelli corinzi che proteggono la parte più preziosa del tempio, la cella. All’interno di essa era collocata la statua di Ercole, a cui il tempio era dedicato, realizzata dallo scultore greco Skopas Minore.

LA TRASFORMAZIONE DA TEMPIO A CHIESA

Nel 1140 la potente famiglia dei Savelli chiede a papa Innocenzo II il permesso di trasformare il tempio in una chiesa. Si tratta di una consuetudine a Roma che prosegue anche nei decenni a venire e che evita a molti monumenti di essere distrutti.

Accordata l’autorizzazione, iniziano subito i lavori che comportano il rifacimento del tetto e principalmente la realizzazione di opere di tamponatura degli intercolumni, gli spazi compresi fra due colonne.

Nasce, così, la chiesa di Santo Stefano, al cui nome si aggiungerà ben presto l’aggettivo rotondo per la forma circolare dell’originario edificio. In seguito fu conosciuta anche come Santo Stefano delle Carrozze, dal nome della vicina via delle Carrozze, strada che portava alla chiesa di Santa Galla, oggi non più esistente.

A partire dal XVII secolo l’ex tempio di Ercole mutò ancora una volta nome in Santa Maria del Sole. La nuova intitolazione fu il frutto del miracoloso ritrovamento di un’immagine della Madonna nel vicino Tevere.

Così l’archeologo Mariano Armellini descrisse in una sua opera quel miracolo:

«L’anno 1560 in quelle adiacenze viveva donna Geronima Latini vecchia di 115 anni che a Dio aveva la sua verginità dedicata. Il fratello di lei, passando sul Tevere vide galleggiare un’immagine della Vergine dipinta in papiro e la prese e la dette alla sorella che fra le gemme del suo scrigno la chiuse. Dopo alcuni giorni nell’entrare nella camera vide l’immagine risplendente come il sole e così cinta da raggi. Tutta Roma accorse alla fama del prodigio, e dal miracolo fu detta la Vergine del Sole, cambiandosi in edicola l’atrio di quella casa».

L’immagine sacra, dopo un’iniziale venerazione casalinga, fu trasferita nella chiesa di Santo Stefano che, in poco tempo, mutò il nome in Santa Maria del Sole.

La presenza dell’icona miracolosa diede una nuova vita all’ex edificio romano. La chiesa diventa luogo di pellegrinaggi e anche di esorcismi, praticati in presenza del volto sacro della Vergine.

IL TEMPIO DI ERCOLE DALL’OTTOCENTO IN POI

Roma, 17 maggio 1809. Su Castel Sant’Angelo viene issato il tricolore francese, il potere temporale del papa è formalmente decaduto, la Città Eterna è entrata, de facto, a far parte dell’impero francese.

Napoleone ha grandi progetti per Roma, è pur sempre la seconda città dell’impero. Trova inaccettabili le condizioni in cui si trovano molti monumenti antichi, le vestigia del passato, spesso trascurate, se non vandalizzate dai vari pontefici, devono tornare al loro antico splendore.

In questo fitto programma di riscatto della storia, che coinvolge molte zone della città, a partire da quella dei Fori, rientra anche il Tempio di Ercole che, a partire dal 1812, sotto l’impulso dell’architetto Giuseppe Valadier, torna, nei limiti del possibile, alle forme originarie.

Cadono i muri fra le colonne, si crea uno sterrato intorno al perimetro e viene issata una cancellata protettiva per difenderlo dai vandali. Vengono, inoltre, abbattute le numerose abitazioni nel frattempo sorte accanto al tempio che così, isolato, torna agli atavici splendori.

Negli anni Trenta del secolo scorso l’area intorno al tempio fu oggetto di importanti interventi volti alla creazione della via del Mare, lavori che, tuttavia, non modificarono il profilo dell’edificio che ieri come oggi mostra a tutti fieramente la sua superba bellezza.

Un sentito ringraziamento al FAI che lo scorso 28 settembre, in collaborazione con la Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma, ha reso possibile a tutti la scoperta di questo straordinario e poco noto edificio.

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