30 ottobre 2016. Seconda scossa di terremoto dell’appennino centrale. Magnitudo 6.5 con epicentro tra i comuni di Norcia, Preci e la provincia di Perugia. Nuove immagini si aggiungono a quelle del terremoto del 24 agosto 2016. Non c’è niente di più potente della rappresentazione visiva di quello che viene trasmesso o pubblicato.
Una foto è una storia, un simbolo, una memoria. Si attacca alla mente e, a distanza di anni, nel rivederla la si associa automaticamente alla sensazione che si è provata in passato. L’immagine è portatrice di emozioni e di racconti. Racchiude in uno scatto di un centesimo di secondo tutti gli accadimenti che si sono succeduti in un arco temporale ben più esteso. Sarà, forse, proprio la separazione tra la durata dell’evento e l’attimo catturato dall’otturatore a consegnare ad una determinata immagine un’idea di potenza.
La foto del campanile di Amatrice non ci mostra semplicemente delle lancette ferme alle 3.38 ma ci fa immaginare tutto quello che è fuori campo, tutta la devastazione che lo circonda e lo avvolge.
IL TERREMOTO DELL’APPENNINO CENTRALE
Piani di Castelluccio
La donna anziana seduta su una panchina a Norcia, con le mani in grembo ed una sedia vuota di fronte a lei, spiega meglio di qualsiasi parola il senso di vuoto, di perdita e di spaesamento. L’anziana sembra quasi in attesa, con uno sguardo che rivela l’attimo in cui tutto è crollato.
In due mesi il terremoto dell’appennino centrale ha raso al suolo paesi che conosciamo, in cui abbiamo camminato, mangiato, scambiato due parole con le persone del posto; luoghi che sono le radici dei nostri genitori, dei nostri nonni; centri appenninici visitati durante un periodo di vacanza o nelle estati, dove da bambini si andava per sfuggire al caldo delle città.
Ognuno di noi appartiene a quel pezzo d’Italia che è venuta giù, perché ciascuno di noi riconosce quei luoghi e quei territori come una parte di sé. Conoscevamo alcune delle 298 persone morte ad agosto, altre le abbiamo conosciute attraverso i racconti delle loro storie, delle loro vite. Tutte unite, alla fine, da un destino identico. Italiani, stranieri, villeggianti, locali, bambini e vecchi insieme. Tutti bloccati per sempre nello stesso istante. Come quelle lancette delle 3.38.
Viene da chiedersi come sarà possibile resistere e ripopolare queste terre interne già fiaccate negli anni dalla migrazione verso le fasce costiere, terre che cercavano di sopravvivere attraverso il turismo, la valorizzazione del territorio e del patrimonio culturale.
Ora è stato tutto sradicato, portato via velocemente e quello che preoccupa è quel solco di venti centimetri che divide il terreno del Monte Vettore. Il segno tangibile di una fenditura, di una spaccatura ondulata che taglia la montagna e che segna l’apertura di una nuova faglia.
Si sta verificando qualcosa di nuovo, tre terremoti registrati nell’arco di appena due mesi. Un attacco continuo senza possibilità di abbassare la guardia e pensare alla ricostruzione. Rimanere in un territorio soggetto a scosse sismiche continue incide negativamente sulla psicologia e sulla fiducia delle popolazioni colpite. Le scosse che si susseguono minano la speranza di riuscire a tornare alla vita precedente.
Castelluccio di Norcia, fioritura
Occorrerà una ricostruzione del senso di comunità, del senso di appartenenza e di identificazione con i luoghi-simbolo del territorio. Ogni paese, infatti, possiede una sua specificità e un suo codice genetico che lo differenzia dagli altri ed ogni cittadino è portatore di questi simboli.
Ma la prima ricostruzione su cui lavorare sarà quella relativa alla propria intimità, violata dalle telecamere e dai microfoni, dagli occhi di milioni di sconosciuti che hanno guardato quello che qualcuno avrebbe voluto tenere per sé. Una sovraesposizione che ha ridotto lo spazio di pudore e di interiorità ed un vivere che è incommensurabilmente lontano appena da ciò che c’era ieri. Uno sradicamento feroce ed improvviso.
Il terremoto cancella l’idea di protezione e di stabilità. Il sussultare continuo della terra porta via la speranza di un futuro in questi luoghi. Quando il senso della catastrofe aleggia nell’aria ed incombe sulle macerie diventa difficile reagire e superare il periodo di devastazione.
Conosciamo però la tenacia ed il forte attaccamento alla propria terra da parte di chi vive qui, abbiamo visto volti di persone che non vogliono abbandonare ma ricostruire negli stessi luoghi. Sappiamo che nulla sarà più come prima, che alcuni paesi sono stati completamente rasi al suolo ma siamo anche consapevoli che si sta aprendo davanti a noi una sfida: quella di rifondare pietra su pietra, mattone su mattone. Qualcuno deciderà di spostarsi verso zone a minore rischio sismico, altri rimarranno per portare avanti esercizi commerciali, aziende agricole e zootecniche. Noi avremo il dovere morale di sostenere queste piccole imprese, acquistando i prodotti tipici di quel territorio: lenticchie, miele, zafferano, farro, formaggi.
Voglio ricordare queste zone con le immagini di una natura stupefacente, di paesi ancora vivi, di escursioni attraverso i sentieri. Il vociare nelle piazze, le campane che scandiscono lo scorrere del tempo, l’aria profumata, la cucina semplice e gustosa, l’accoglienza delle persone.
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