Il 30 luglio 1954 alle 8 di mattina Pino Gallotti e Walter Bonatti si trovano al campo VIII allestito sul K2, a quota 7327 metri, e così come concordato il giorno precedente con Lacedelli e Compagnoni, si incamminano verso il basso per recuperare le bombole d’ossigeno lasciate lungo il tragitto e portarle prima al campo VIII e poi all’ultimo campo, il IX, quello che dovranno allestire in giornata proprio Lacedelli e Compagnoni, i due alpinisti italiani scelti per l’assalto finale al K2. Bonatti e Gallotti intravedono salire dal campo VII Abram (che dopo il riposo notturno si è ripreso dalla fatica) ed i due hunza Mahdi e Isakhan.

IN CIMA AL K2: UNA GRANDE IMPRESA, UNA LUNGA CONTESA

Walter Bonatti (1930 - 2011)

Walter Bonatti (1930 – 2011)

I cinque alpinisti, oramai riunitisi, affrontano la salita e giungono non senza fatica al penultimo campo. Gallotti è stremato, Isakhan ha la febbre e anche Abram è letteralmente distrutto dalla fatica. Dopo avere mangiato, Bonatti e Mahdi ripartono con i trespoli di ossigeno verso il campo IX. Abram li seguirà fino a quando ce la farà, alternandosi con loro nel trasporto dell’ossigeno. Hanno quattro ore di luce per arrivare al nuovo campo allestito da Compagnoni e Lacedelli.

L’aria è così rarefatta che gli scalatori sono costretti a fermarsi ogni tre o quattro passi. Camminano seguendo le orme che i compagni hanno lasciato la mattina fino a che non vedono più alcuna traccia sulla neve. Li chiamano e loro rispondono. Non devono essere lontani se Bonatti sente nitidamente le loro voci. Si fanno coraggio, ipotizzando che la tenda sia dietro al roccione, che vedono davanti a loro. Ma più si avvicinano e più non scorgono nulla, solo montagna e neve, neve e montagna. Iniziano i dubbi, le congetture, le paure.

L’arancione della tenda dovrebbe vedersi ed invece a vista non si scorge nulla. Alle 17.30 il sole scende dietro la montagna e l’aria cambia repentinamente. Il gelo si impossessa dei corpi e delle menti dei tre alpinisti che cercano disperatamente il campo IX. Abram non sente più il piede, a turno glielo massaggiano e poi, quando finalmente lo sente scaldarsi, decide di riscendere verso il campo VIII.

Ora sono rimasti in due, Bonatti e l’hunza Mahdi, e risalgono la dorsale che separa il versante est da quello sud. Il pendio è sempre più ripido, non si ha più la possibilità di riposarsi tanta è la pendenza. Bonatti chiama a gran voce: “Lino! Achille!”. Risponde il silenzio. Mahdi è colto da un attacco di panico e di rabbia insieme. Urla nella sua lingua. Il campo IX deve essere stato spostato più in alto rispetto a quanto convenuto ed anche di molto. Ma perché? Ormai è buio e Bonatti sfila la torcia dalla tasca. Ma non si accende, forse per colpa del gran freddo. La disperazione ammanta i due uomini soli e sperduti tra quei ghiacci. Urlano ai loro compagni che non rispondono.

INTRAPPOLATI TRA I GHIACCI DEL K2: IL DRAMMA DI BONATTI E MAHDI

L’hunza è fuori di sé, grida, impreca nella sua lingua, agita la piccozza. Bonatti lo invita alla calma. Sono intrappolati. Non possono riscendere al campo VIII e non riescono a vedere il campo IX. L’unica soluzione, allora, è allestire un bivacco di fortuna e Bonatti lavora con la piccozza per togliere il ghiaccio. È disperato ed arrabbiato con i compagni, urla che li denuncerà al ritorno. Grida: “Non voglio morire! Non devo morire!”. Infine, l’estremo tentativo: Bonatti chiama di nuovo Lacedelli e Compagnoni e stavolta la voce del primo risponde e lo invita a riscendere e ad abbandonare le bombole lì. Bonatti ribatte che è impossibile, che Mahdi non può farcela tanto è fuori di sé.

Ora quella luce che si era accesa dal campo IX si spegne. Bonatti aspetta l’arrivo dei due compagni. Non vedono più la torcia perché Compagnoni e Lacedelli stanno scendendo per recuperarli, pensano. Invece sono tornati nella tenda. Bonatti e Mahdi rimangono al riparo all’interno di quel blocco di ghiaccio con tre caramelle come cena.

Il vento gelido li sferza, una bufera di neve comincia a colpirli sul volto. I due muovono gli arti in continuazione per non farli congelare, i corpi si stringono, la morte è ad un passo. La quota, in quella parte di K2, tocca gli 8100 metri. Con quella temperatura e quelle condizioni climatiche rischiano di cedere e di lasciarsi morire.

Scopri la biografia di Walter Bonatti

31 luglio 1954. Finalmente arriva l’alba, il sole comincia a sorgere, il vento si placa. Bonatti non avverte più le mani, i piedi. Il suo corpo gli dà la sensazione che appartenga ad un’altra persona. Il viso è avvolto dal ghiaccio. Mahdi si alza e per primo scende verso il campo VIII. Le dita dei piedi sono annerite e gli verranno amputate in seguito. Bonatti attende, cerca di riattivare la circolazione, consulta l’orologio. Sono quasi le sei, infila i ramponi e scende anche lui verso il campo VIII. Alle 6.30 Lacedelli e Compagnoni partono dal campo IX per recuperare le bombole che si trovano al bivacco Bonatti-Mahdi e, da lì alle 8.30, iniziano a salire, raggiungendo la vetta del K2 alle ore 18.

La conquista del K2

La conquista del K2

K2, LA VERITÀ 50 ANNI DOPO: IL RISCATTO DI WALTER BONATTI

Gli scalatori italiani hanno conquistato gli 8611 metri della temibile montagna, la notizia fa il giro del mondo ed inorgoglisce un paese che si sta riprendendo dalla distruzione della guerra. Da parte del CAI viene stilata una relazione ufficiale a firma di Ardito Desio che, essendo rimasto sempre al campo base, riporta la voce di Achille Compagnoni. Secondo la versione ufficiale il bivacco notturno di Bonatti-Mahdi si trovava a 7900 metri, 200 metri più in basso di quanto riferito dai due protagonisti. Inoltre viene scritto che i due uomini al campo IX avevano tentato di comunicare con Bonatti senza ricevere risposta e che l’ossigeno delle bombole di Lacedelli – Compagnoni si era consumato due ore prima dell’arrivo, alle ore 16, a quota 8400 metri.

Come se ciò non bastasse, nel 1964 sulla Nuova Gazzetta del Popolo esce un articolo bomba, a firma del giornalista Nino Giglio, che accusa Walter Bonatti di aver tentato di precedere Lacedelli e Compagnoni nella conquista del K2 e, per tale motivo, di aver dovuto allestire un bivacco di fortuna. Il giornalista rincara la dose sostenendo che il giovane alpinista bergamasco, accortosi dell’impossibilità di precedere i compagni, aveva abbandonato l’hunza Mahdi al suo destino e che, durante il bivacco notturno, aveva consumato parte dell’ossigeno destinato ai due scalatori, compromettendo la riuscita dell’ascensione. L’accusa risulterà poi assurda perché il giovane Bonatti non aveva con sé la maschera necessaria per l’erogazione dell’ossigeno, ma basta questo articolo per accendere le vecchie polemiche e tirare fuori le passate ruggini. La notizia fa il giro del mondo.

Achille Compagnoni e Lino Lacedelli sul K2

In cima al K2: a sinistra Achille Compagnoni con la maschera d’ossigeno mentre si toglie i guanti, a destra Lino Lacedelli con il volto pieno di brina

Ne nasce un processo per diffamazione che dopo tre anni dà ragione a Walter Bonatti. Bisognerà attendere il 2004 per la rettifica della versione ufficiale da parte del CAI, modifica che riconoscerà ufficialmente quanto Bonatti aveva denunciato a più riprese: lo spostamento arbitrario del campo IX ad una quota irraggiungibile per Bonatti-Mahdi, il contributo fondamentale dell’alpinista bergamasco e dell’hunza Mahdi alla riuscita della conquista del K2, il bivacco notturno a quota 8100, la salita di Lacedelli – Compagnoni con l’ossigeno fino alla vetta.

La prova, tra l’altro, del fatto che Lacedelli e Compagnoni fossero arrivati in cima con l’ossigeno era stata già fornita nel 1993 da un medico, Robert Marshall, che aveva trovato delle foto pubblicate nel 1955 sull’annuario svizzero Berge der Welt. Nella prima immagine si vede Compagnoni con la maschera d’ossigeno mentre si toglie i guanti, nella seconda Lacedelli con il volto pieno di brina, segno tangibile, che fino a poco prima aveva usato il respiratore. Anche la Società Geografica Italiana nel 2008 ritiene veritiera la versione di Walter Bonatti, lo scalatore che ha girato il mondo e che una volta ha detto: “La montagna mi ha insegnato a non barare, ad essere onesto con me stesso”.

 

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