È l’insediamento rupestre più esteso della Toscana, un insieme di grotte scavate nel tufo che attraverso dei sentieri segnalati consentono di ammirare i resti di una vetusta città: ci troviamo nell’antico abitato di Vitozza, il cui nome è presente per la prima volta in un testamento risalente al 1208 Siamo in un’area oggi appartenente al comune di Sorano, in provincia di Grosseto, in un territorio di grande bellezza e di suggestivi scorci. La natura ha riconquistato questo lembo di terra un tempo abitato da uomini; qui, nella valle del fiume Fiora, si trovava una città di pietra che ha vissuto un avvicendarsi di popolazioni e di civiltà.

LA STORIA DI VITOZZA IN MAREMMA

Questo territorio era già abitato dalla fine dell’VIII secolo a.C. dagli Etruschi e la loro presenza si manifesta ancora oggi per l’abilità che questa popolazione aveva della lavorazione della pietra tufacea, grazie alla quale, in tutta l’area che va da Sovana a Castro, diedero vita a tombe, gallerie, vie intagliate nel tufo. La conquista di questi territori da parte della popolazione romana diede inizio ad una nuova organizzazione dell’intero territorio con pavimentazioni, ponti e forse  con la costruzione dei colombari, piccole urne scavate nella roccia che venivano utilizzate per deporvi urne cinerarie (I secolo a.C-I secolo d.C.).

Dopo essere stati saccheggiati e conquistati prima dai Goti (prima metà del VI sec.) poi dai Longobardi (fine VI e inizi VII secolo), nell’VIII secolo i centri della media valle del Fiora caddero sotto il dominio franco di Carlo Magno che, alla luce dell’alleanza con il papato, donò allo Stato Pontificio alcuni territori maremmani, tra cui Sovana, città natale di Papa Gregoro VII. Dalla prima metà del IX secolo i conti Aldobrandeschi, famiglia dell’aristocrazia lucchese, estesero i loro possedimenti in Maremma, rendendo Sovana la città principale del loro dominio nella Toscana meridionale.

Per due secoli (XIII-XIV) la contea di Sovana – divenuta nel frattempo dominio della famiglia guelfa degli Orsini discendenti degli Aldobrandeschi per via matrimoniale – e l’intera valle del Fiora continuarono ad essere luogo di contesa tra le città comunali limitrofe, in particolare Siena. La resistenza di Vitozza durò fino alla metà del XV secolo quando, dopo la guerra del 1454-55 che vide il prevalere degli Orsini, questi ultimi la trasformarono in una tenuta e decisero di non restaurare le fortificazioni danneggiate durante gli scontri. Il destino di Vitozza era segnato per sempre, i suoi abitanti che già l’avevano in gran parte spopolata, non vi fecero più ritorno. Il legame tra la città abbandonata di Vitozza e il vicino piccolo villaggio di San Quirico fece sì che per tutto il XIX secolo Vitozza restasse un punto di riferimento per il pascolo del bestiame, la raccolta della legna e l’apporto idrico del fiume Lente che attraversa la valle del Fiora.

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IL SENTIERO PER L’INSEDIAMENTO RUPESTRE DI VITOZZA

Vitozza e il suo insediamento rupestre

Vitozza e il suo insediamento rupestre

L’escursione che conduce alla città abbandonata di Vitozza (XII secolo) inizia dalla frazione di San Quirico e si dipana lungo un sentiero delimitato, a sinistra, dal fosso di San Quirico e costellato, a destra, da pareti di tufo su cui si aprono numerose grotte, un tempo adibite a ricovero per animali domestici ed orti. L’insediamento vero e proprio inizia sotto i resti del primo castello e si estende per circa un chilometro su uno sperone di tufo. Davanti al castello la strada si biforca per seguire i due versanti del pianoro nei quali sono scavate decine di grotte. Dopo avere superato la foresteria (1.5 km) si prosegue fino a trovarsi dinanzi ad un bivio. Siamo in prossimità di resti di un castello, detto la Roccaccia, posto a difesa di uno degli accessi alla città e di cui rimangono un torrione ed altri parti in muratura. Da qui si può proseguire sia sul sentiero di destra che su quello di sinistra, poiché il percorso si sviluppa ad anello. Prendendo il sentiero che sale si arriva nella parte centrale dell’antico abitato e, dopo avere superato una porta d’accesso, si raggiunge la cosiddetta Chiesaccia, a pianta rettangolare, di cui rimangono oggi le mura perimetrali insieme ad un’abside e ad un campanile a vela. Subito dopo si apre la seconda porta che consentiva l’accesso a Vitozza provenendo da Sorano e da Pitigliano. Si incontra poi una seconda fortificazione, che presenta ancora cinque finestroni, fino ad arrivare alla parte finale della città denominata Sant’Angiolino, dove si trova un fossato difensivo.

LE GROTTE E I COLOMBARI DI VITOZZA

Vitozza, le grotte scavate nel tufo e i colombari

Vitozza, le grotte scavate nel tufo e i colombari

Le numerose grotte scavate nel tufo che si trovano lungo il percorso di visita sono  di varie tipologie: grotte ad uso promiscuo, grotte utilizzate come stalle e grotte ad uso abitativo. Queste ultime si trovano principalmente sul versante sud-ovest, battuto maggiormente dalla luce, e si tratta di grotte poste su più livelli; quelle situate in alto, in grado di ricevere maggiormente i raggi solari, erano utilizzate come abitazioni e si distinguono dalle altre per la presenza di canne fumarie, pozzi e cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. Tra le più importanti, lungo il tracciato, è possibile osservare la Grotta della Riccia (contraddistinta dal numero 15), dal soprannome della persona che qui viveva nel 1783, la Grotta a due piani (la numero 22), costituita da due vani sovrapposti ed in comunicazione attraverso una scaletta scolpita nella roccia e la Grotta del Somaro, ad uso promiscuo e composta da più ambienti in grado di riparare animali e persone. Sul versante nord-est, invece, si trovano principalmente ambienti ipogei rettangolari destinati al ricovero degli animali. Proseguendo lungo il sentiero si incontrano alcuni suggestivi colombari, ambienti scavati nel tufo che, secondo l’archeologo Bianchi Bandinelli, erano destinati in epoca romana ad accogliere le ceneri dei defunti, proprio come quelli rinvenuti a Roma o a Petra. Molto si è dibattuto sull’utilizzo di queste piccole nicchie scavate nelle pareti tufacee tanto che al giorno d’oggi gli studiosi ritengono che i colombari presenti a Vitozza ed in tutto il territorio circostante siano nati soltanto nel Medioevo per l’allevamento dei colombi al fine di raccoglierne il guano ed utilizzarlo per la concimazione delle terre.

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