È possibile condensare la biografia straordinaria nel senso primo dell’aggettivo di una donna unica in poco più di cinquanta pagine? Se si è un grande scrittore, assolutamente sì. Pino Cacucci con Viva la vida è riuscito esattamente in questo, trasmettere l’intensità irripetibile della vita di Frida Khalo in poche, indimenticabili pagine. Con una scrittura incalzante fin dalla primissima parola (bellissimo l’incipit «La pioggia… Sono nata nella pioggia») l’autore di Puerto Escondido, conoscitore come pochi del Messico e del Sud America, riesce a far vivere la protagonista assoluta di questo cammeo letterario: Frida Khalo.

VIVA LA VIDA: RITRATTO DI FRIDA KHALO

Frida Khalo, protagonista di "Viva la Vida" di Pino Cacucci

Frida Khalo, protagonista di “Viva la Vida” di Pino Cacucci

Viva la vida, testo del bellissimo e omonimo spettacolo teatrale, pubblicato per la prima volta per i tipi di Feltrinelli nel 2010, è il racconto in prima persona di una donna attaccata alla vita come poche altre persone, di come abbia affrontato la tragedia del suo terribile incidente, quando «un corrimano di quattro metri mi era entrato nel fianco. Mi aveva trafitto come la spada trafigge il toro».

Una donna Frida Khalo, che ha preso a morsi la vita, che sul letto di un ospedale, rinchiusa «in un sarcofago di gesso e ferro» nelle lunghe, monotone, solitarie e dolorosissime giornate ha conosciuto il piacere unico della pittura: «In quelle giornate eterne, ho cominciato a dipingere. Potevo muovere soltanto le mani. Potevo vedere soltanto me stessa: la mia faccia riflessa in uno specchio. La pittura è diventata l’unica ragione per aspettare l’alba, l’alba che sembrava non arrivare mai».

E in quell’attesa lunga, estenuante, infinita Frida ritrovò se stessa e scoprì l’amore per la pittura, diventando una donna desiderata e un’artista quotata. Poco più di cinquanta pagine per innamorarsi di una donna passionale, che si gettò con ardore in ogni avventura della vita, fosse la politica, l’amore o la pittura. Nulla lasciò d’intentato, sempre convinta di dover irridere la morte, distrarla, farle sentire che – nonostante le infinite operazioni chirurgiche, le luci smorte degli ospedali, l’odore acre e stomachevole dei disinfettanti, le decine di busti che indossò in improbabili sfilate, tutti decorati come fossero «armature per affrontare battaglie carnevalesche, bare variopinte per una farsa di funerale» – aveva, almeno per il momento, inesorabilmente perso.

Una donna che amò in modo unico, andando, anche sul tracciato delineato da Venere, sempre controcorrente, innamorandosi dell’artista Diego Rivera, nonostante tutto, l’amore di tutta una vita. Un comunista, un senzadio, un divorziato che beveva troppo e aveva per giunta fama di passare da un letto all’altro. Brutto, arrogante, grasso, sgraziato, con un’albagia insopportabile, un uomo che non sarebbe mai cambiato, per il quale, però, Frida nutrì un sentimento irripetibile, perché, alla fine, «non si ama qualcuno per come lo si vorrebbe, ma per quello che è».

Viva la vida è un libro che si legge d’un fiato, che si sottolinea, che si rilegge, che si crede un romanzo ma che è semplicemente la letteraria trasposizione di una vita straordinaria.

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