La figura di Walter Bonatti è indissolubilmente legata all’impresa italiana della conquista della seconda cima del mondo, quel K2 raggiunto nel luglio del 1954 che si trascinò dietro un mucchio di polemiche alimentate da accuse, processi per diffamazione e smentite. Ma la vita di Bonatti non è stata soltanto quella e soprattutto non è stata legata unicamente alla montagna.
Diciamo piuttosto che da quell’esperienza è maturata in lui l’idea di lasciare le pareti verticali per muoversi attraverso le distanze orizzontali, gli spazi infiniti ed aperti di mari, oceani, terre, deserti, ghiacci che ricoprono il nostro meraviglioso pianeta. Come in un libro di Salgari, di Defoe, di Melville o di London di cui si nutriva da bambino e da adolescente, Walter Bonatti ha accettato la sfida di lasciare il suo campo per conoscere il mondo con le sue popolazioni, le sue bellezze e le sue asperità passando dai climi più torridi a quelli più polari.
BIOGRAFIA E FRASI DI WALTER BONATTI. UNA VITA LIBERA
Quando era bambino Bonatti ha cominciato ad osservare, a leggere e a sognare. L’infanzia passata dai parenti tra il Po piacentino e le Alpi Orobie della Val Seriana lo introdusse ad una vita piena di libertà, di scoperte, di letture, di amore per la natura. Le avventure di Zanna Bianca, gli spazi aperti dei cercatori d’oro nel Klondike in Canada, le isole sperdute nell’oceano, la natura selvaggia delle terre estreme descritte in quei libri aumentavano nel giovane un interesse fortissimo verso tutti i tipi di avventura e di ricerca.
Walter Bonatti (1930 – 2011)
La prima possibilità di sperimentare il mondo avvenne con ciò che gli era a portata di mano e quindi non poté che trattarsi della montagna. La madre dei suoi primi approcci fu la Grignetta, la cima che raggiungeva in treno insieme ai suoi amici la domenica, quando non doveva presentarsi alle acciaierie Falck dove lavorò dapprima come manovale e poi come addetto alle commesse. Una mattina, seguendo il sentiero che portava alla vetta, Walter Bonatti disse all’amico che lo accompagnava che dovevano provare anche loro a scalare come quel gruppo di alpinisti che avevano appena visto incollati alla parete.
La montagna mi ha insegnato a non barare, a essere onesto con me stesso e con quello che facevo.
Così comprò chiodi, corda e martello e con il suo amico, la volta successiva, cominciò ad arrampicare. Aveva 18 anni e scalò poche decine di metri di roccia ma furono sufficienti per accendere in lui quell’amore e quella predilezione per l’alpinismo. Con il gruppo alpinistico Pell e Oss cominciò a prendere confidenza con la montagna ed in brevissimo tempo le loro scalate iniziarono ad essere menzionate sui giornali locali mentre il nome di Walter Bonatti divenne così conosciuto da essere selezionato per affrontare la scalata del K2. Era il 1954 e anche su quella cima rimasta inviolata fino al luglio di quell’anno portò il gagliardetto dei Pell e Oss ma il tragico bivacco notturno senza cibo e senza una tenda con Mahdi a 8100 metri lo segnò profondamente.
WALTER BONATTI, SCALATORE ED ESPLORATORE
Tornato in Italia, continuò a salire sulle cime in cordata ma anche in solitaria, aprendo nuove vie e conquistando altre vette. Il temibile Dru, il Grand Capucin, le Grandes Jorasses, il Pilastro Rosso ma visse anche la tragedia del Pilone Centrale del Freney dove morirono il suo amico Andrea Oggioni e tre alpinisti della cordata francese.
Walter Bonatti da giovane
E poi l’ultima scalata con la nuova via aperta sulla parete nord del Cervino, in solitaria e d’inverno, dopo la quale decise di concludere la sua esperienza alpinistica per aprire un’altra pagina della sua vita fatta di reportage in giro per il mondo. Cominciarono così le cronache fotografiche e giornalistiche per il settimanale Epoca dove Walter Bonatti scriveva appassionanti ed avventurosi articoli e li corredava di meravigliose foto.
Incontrava popoli della foresta amazzonica, Tuareg, Indiani delle Americhe, Pigmei, Andini, Waikas, Dani, Masai, uomini e donne che vivevano in capanne, che cacciavano e mangiavano tutto ciò che trovavano in natura. Popolazioni che soprattutto non conoscevano la parola lavoro e che facevano fatica a comprenderla. Si trattava di popoli che vivevano in armonia con l’ambiente circostante, che si muovevano agilmente dentro la foresta pluviale, che conoscevano ogni suono, impronta, forma di vita che i loro sensi riuscivano a percepire.
Vivevano in ambienti ostili, molto umidi, molto caldi o molto freddi ma sapevano interpretare ogni cosa che si manifestava. Nei suoi taccuini Walter Bonatti annotava che queste popolazioni si accorgevano di tutto e sapevano decifrare il mondo ed i suoi fenomeni.
Negli assoluti silenzi, negli immensi spazi, ho trovato una mia ragione d’essere, un modo di vivere a misura d’uomo.
I SUOI MEMORABILI REPORTAGE PER “EPOCA”
Così Walter Bonatti si aprì ad esperienze incredibili, al limite della fantasia della più ingegnosa penna. Scalava montagne di ghiaccio, si calava nella bocca dei vulcani, viaggiava in canoa lungo fiumi tempestosi, incontrava uragani, camminava nella Valle della Morte, nei deserti, nell’Antartide, bivaccava tra i leoni, subiva l’attacco dei bufali nella savana, ingaggiava una lotta terribile con un pitone che aveva appena mangiato due capre, si appostava per giorni e giorni per fotografare tigri, costruiva postazioni per immortalare coccodrilli, scattava foto a serpenti velenosi, ragni, gnu, giraffe, avvoltoi, prendeva lezioni di tiro con l’arco dai Waikas, un popolo indigeno del Venezuela, seguiva il corso dell’Orinoco.
Quando scriveva lo faceva con descrizioni dettagliate e con il gusto per il particolare. La lingua era sempre puntuale e, come ricorda un giornalista di Epoca, passava tanto tempo a cercare sul vocabolario la parola adatta, con umiltà.
Walter Bonatti era un perfezionista anche nella scrittura, un cesellatore. Ha portato in Italia le immagini e le parole di altri mondi, di luoghi lontani, del tutto sconosciuti. Ha saputo parlare di popolazioni distanti da noi, di ambienti lontani dal nostro modo di vivere ed ha descritto la vita come gli è apparsa. Ed ha sognato tanto fin da ragazzino perché l’immaginazione, come scrive Rossana Podestà (sua compagna per 30 anni) lo ha sempre guidato nella sua vita.
La realtà è il cinque per cento della vita. L’uomo deve sognare per salvarsi.
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