Il 12 febbraio 1986, a Charlottesville, negli Stati Uniti, moriva, a causa di una polmonite, Anna Anderson, la donna che per oltre sessant’anni aveva lottato per farsi riconoscere come Anastasia Romanov, la figlia di Nicola II, l’ultimo zar di Russia. Questa è la storia di quella donna e delle sue vicissitudini, non solo processuali ma sopratutto umane. Una vicenda che ispirò più di un film, tra cui l’omonimo cartone animato prodotto dalla 20th Century Fox e, nel 1956, il celeberrimo Anastasia di Anatole Litvak, con Yul Brynner e Ingrid Bergman che si aggiudicò l’Oscar come migliore attrice protagonista.
LA VERA STORIA DI ANASTASIA ROMANOV
La granduchessa Anastasia Nikolaevna Romanova nasce, secondo il calendario gregoriano, il 18 giugno 1901. Così il padre, l’imperatore Nicola II, ricorda sul suo diario quel lieto evento:
«Alle 3 circa Alice [è il nome dell’imperatrice Alessandra, quello che aveva prima di abbracciare la religione ortodossa] è stata colpita da forti dolori. Alle 4 mi sono alzato, sono andato nelle mie camere e mi sono vestito. Alle 6 precise del mattino è nata Anastasia. Tutto è andato nel migliore dei modi, veloce e, grazie a Dio, senza complicazioni. Grazie al fatto che tutto è iniziato e finito mentre tutti ancora dormivano, entrambi abbiamo avuto una sensazione di calma e di riservatezza! Poi mi sono messo a sedere per scrivere i telegrammi e avvisare i parenti in tutti gli angoli del pianeta. Alice fortunatamente si sente bene. La piccola pesa 11 1/2 libbre ed è alta 55 cm».
Nicola II Romanov e la sua famiglia
Se la gioia di Nicola è palpabile, meno è quella di molti dignitari di corte e soprattutto dell’imperatrice madre. Costoro, infatti, si aspettavano che l’imperatrice Alessandra, poco amata per la sua origine tedesca, partorisse finalmente un maschio, dopo aver dato alla luce ben tre femmine: Olga, Tatiana e Maria.
L’atteso erede, colui che dovrebbe garantire la discendenza dei Romanov, che da più di trecento anni regnano in Russia, non è ancora giunto, arriverà tre anni dopo, il 12 agosto 1904, ma non sarà, purtroppo, una felice circostanza.
Pochi giorni dopo la nascita di Alessio, questo il nome che viene dato allo zarevic, si scopre che il bambino è affetto da emofilia, una patologia terribile, che lascia poche speranze ma che a corte viene accuratamente nascosta. In pochi sanno, fra questi il mefistofelico Rasputin, il rozzo contadino con aurea da taumaturgo che contribuirà, e non poco, al discredito dei Romanov.
Anastasia, che in greco vuol dire resurrezione, riceve al pari delle sorelle e del fratello, un’educazione rigida, di stampo vittoriano, d’altra parte la zarina Alessandra è pur sempre la nipote della leggendaria imperatrice Vittoria.
A risultare particolarmente indigesti sono i gelidi bagni mattutini, l’inflessibile osservanza dei riti di culto e la tradizione familiare di far dormire i rampolli di casa Romanov non su letti sfarzosi, bensì su scomode brandine.
Anastasia, fra tutti i figli dello zar, è quella che ama meno studiare. Odia la matematica e ancor di più la grammatica. Adora, invece, la danza, la musica e con il tempo la fotografia. Molte immagini che ritraggono i momenti più privati della famiglia imperiale sono stati scattate da Anastasia.
Al centro Nicola II Romanov, a sinistra la moglie Aleksandra Fëdorovna, a destra la figlia Anastasia
Prediletta dal padre, a cui somiglia in modo sorprendente, Anastasia fa collezione di nomignoli. E’ chiamata Šybz per il suo carattere irrequieto, Kubyška, per la sua bassa statura, e too-too per il suo essere grassottella.
Ma l’innocenza di quei primi anni corre veloce sui binari della storia e quando scoppia la prima guerra mondiale tutto irrimediabilmente cambia e per sempre.
La Russia si ritrova in un conflitto atroce che lascia sui campi di battaglia milioni di soldati. Lo sconfinato amore del popolo russo per il suo zar, ritenuto una divinità, scema rapidamente. La tragedia bellica muta sentimenti sedimentati, mostrando la realtà di un paese che è sull’orlo dell’abisso. La crisi economica, il tracollo militare, la fame che bussa alle porte delle case di milioni di russi, spalancano le porte alla rivoluzione.
Il 23 febbraio 1917 a Vyborg, un sobborgo industriale di San Pietroburgo, centinaia di operaie incrociano le braccia. È la scintilla, l’inizio della rivoluzione di febbraio che, di lì a poco, determinerà la fine dell’autocrazia zarista.
Anna Anderson, la donna che diceva di essere Anastasia Romanov
Il 2 marzo di quello stesso anno, sul treno imperiale fermo alla stazione di Pskov, Nicola II abdica in favore del fratello Michele che, poche ore dopo però, rinuncerà alla corona. Il regno dei Romanov si conclude quel giorno, dopo più di trecento anni di dominio incontrastato e sanguinoso.
Da quel momento in poi Anastasia, come le sue sorelle, il fratello Alessio e i due genitori non sono più altezze imperiali ma solo dei comuni cittadini.
Vengono arrestati e sottoposti a un regime controllato da parte delle truppe rivoluzionarie prima nella stessa residenza di Carskoe Selo, nello sfarzoso Palazzo di Alessandro, poi a Tobol’ske in Siberia e, infine, a Ekaterinburg, nella regione degli Urali.
Qui, il 18 giugno 1918, Anastasia festeggia il suo diciassettesimo compleanno che sarà anche l’ultimo. Quel giorno Nicola II, nel suo diario, annota, oltre al compleanno della figlia, di aver cominciato la lettura del terzo volume di Saltykov, che definisce «avvincente e intelligente».
Poco meno di un mese dopo, nella cantina della casa di Ipat’ev, viene scritta l’ultima tragica pagina dell’esistenza di Anastasia e dei suoi familiari.
Nella notte fra il 16 e il 17 luglio 1918 la famiglia imperiale viene sterminata. Anastasia non muore subito. A salvarla, inizialmente, sono i gioielli che nei giorni precedenti lei e le sue sorelle avevano cucito all’interno dei loro corsetti e che deviano parte dei proiettili dei soldati bolscevichi. Verrà finita a colpi di baionetta.
CHI ERA ANNA ANDERSON?
Berlino, 17 febbraio 1920. Un poliziotto cammina pigramente per le vie della città, attendendo la fine del servizio quando, in lontananza, nota una donna sul parapetto di un ponte. Si lancia verso di lei, riuscendo ad afferrarla, un attimo prima che si getti nelle gelide acque del Landwehr Kanal.
La ragazza, priva di documenti e in evidente stato confusionale, viene interrogata dalla polizia, ma si rifiuta di rispondere. Alla fine, a un agente che continua a chiederle chi sia, stancamente risponde: «Se sapessi chi sono non sarei qui».
Anastasia Romanov
Le autorità stilano un succinto verbale in cui scrivono che la ragazza ha circa vent’anni e che parla un tedesco approssimativo, con un forte accento orientale. Viene redatto anche un rapporto medico in cui si sottolinea come la ragazza presenti cicatrici sul corpo, numerose lacerazioni, alcune fratture in testa (le radiografie fatte in quella circostanza scompariranno in seguito) e, infine, segni di pugnalate in diverse parti del corpo.
La ragazza, anche nei giorni successivi, rimane chiusa nel suo mutismo. Per lei viene disposto il ricovero in una struttura psichiatrica, la diagnosi è depressione. Anche in manicomio la “Signorina Sconosciuta”, come la iniziano a chiamare medici e infermieri, continua a non parlare fino a quando non accade l’incredibile.
Una delle ricoverate nota una singolare somiglianza fra quella ragazza e la granduchessa Tatiana, una delle figlie dello zar Nicola II. Certa di questo, pone alla ragazza una serie di domande senza ottenere inizialmente alcuna risposta. Poi la giovane, come svegliatasi da un lungo letargo, inizia a parlare, dichiarando di essere non Tatiana, bensì Anastasia Romanov.
I medici non danno peso a quelle parole, derubricandole alle farneticazioni di una povera pazza. Per proteggere il suo equilibrio psichico cercano di non divulgare la notizia ma invano. La voce valica gli ovattati confini dell’ospedale facendo in poco tempo il giro della città.
La storia della presunta Anastasia calamita l’attenzione dei media tedeschi e non solo. In quell’Europa che cerca di risollevarsi dalle macerie della Prima Guerra Mondiale, una vicenda come quella piace e molto, per il suo indubbio gusto retrò, per il mistero che l’ammanta, per gli inevitabili scenari che potrebbe determinare.
La clinica psichiatrica inizia a diventare la meta di un singolare pellegrinaggio di esuli russi. Alcuni sono mossi da una morbosa curiosità, altri, invece, da una sincera devozione. Tutti, però, la vogliono incontrare per capire chi sia realmente.
Dal manicomio la “Signorina Sconosciuta” esce nel 1922 e viene ospitata presso l’abitazione di alcuni nobili tedeschi. Lentamente la giovane comincia a parlare. Della tragica notte fra il 16 e il 17 luglio 1918 ricorda però poco o nulla. Racconta di essersi salvata dal fuoco dei soldati, nascondendosi dietro il corpo della sorella Tatiana. Poi il buio, fino al risveglio in casa di un rumeno, probabilmente colui che l’ha salvata.
Queste poche informazioni, mai riferite in russo (lingua che la ragazza non utilizzerà mai in pubblico anche se più di un testimone affermerà, nel corso dei diversi processi, di averla udita parlare russo con dei pappagalli), unite ad alcune coincidenze anatomiche, come il colore degli occhi, l’altezza e una piccola deformità ai piedi, nonché le diverse cicatrici, compatibili con quelle provocate da un’arma da fuoco, sembrano avvalorare l’incredibile ipotesi che, dietro quel confuso anonimato, si celi davvero la granduchessa Anastasia.
Sull’ignota paziente inizia a germogliare un inevitabile interesse.
Il 9 febbraio 1928 la giovane, salvata da morte certa otto anni prima da un poliziotto, è a New York. Finalmente ha un nome, seppur falso. Si fa chiamare Anna Anderson, indispensabile compromesso per ottenere un passaporto che le spalanchi le porte degli Stati Uniti, dove viene accolta con grandi onori.
I media americani le dedicano fiumi di inchiostro, incoronandola come la granduchessa ritrovata, l’ultima erede di una plurisecolare dinastia.
Va a vivere presso la sfarzosa dimora di Hampton Court, di proprietà della principessa Xenia, figlia del granduca Giorgio Michajlovic, uno dei fratelli di Nicola II. Xenia ha conosciuto bene Anastasia, per questo vuole scoprire se questa donna sia davvero l’amata cugina. La ragazza, però, non risponde alle tante domande che la nobildonna le pone ma, quando insiste sul perché non parli mai russo, Anna algida risponde: «perché è l’ultima lingua che ho sentito parlare in quella casa».
Poche settimane dopo Anna Anderson lascia gli Stati Uniti e torna in Germania, dove conduce una vita di stenti, in una piccola casa nel mezzo della Foresta Nera, fra decine di cani e gatti, senza vedere quasi nessuno.
Nel 1968 torna nuovamente negli Stati Uniti, stabilendosi a Charlottesville, in Virginia, dove sposa lo storico dell’arte americano John Manahan.
LA DURA BATTAGLIA LEGALE PER ESSERE ANASTASIA
Buona parte della vita di Anna Anderson è stata contrassegnata dai tribunali, dove cercherà, invano, di ottenere il riconoscimento legale quale figlia dello zar Nicola II.
Le porte delle aule di giustizia si aprono subito dopo l’incredibile ammissione da parte della ragazza nel manicomio berlinese. I magistrati tedeschi voglio scoprire se realmente quello che quella donna asserisce risponda al vero, d’altra parte la prova che Anastasia Romanov, come gli altri membri della famiglia imperiale, sia morta non c’è. Ci sono le testimonianze di coloro che spararono in quella famosa notte di luglio ma mancano i corpi e senza quelli si può parlare, al massimo, di morte presunta.
Per capire se quella donna sia davvero la quarta figlia del zar i giudici hanno una sola possibilità: interrogare chi ha conosciuto la vera Anastasia. Per questo durante i vari processi sfilano ex domestici dei Romanov, dignitari di corte e, principalmente, molti discendenti più o meno diretti di Nicola II.
Per alcuni di loro la ragazza non può che essere Anastasia. Come per Cecilia di Prussia, moglie dell’erede al trono di Germania, il figlio del Kaiser Guglielmo II. La principessa, figlia di una delle nipoti di Nicola I, il nonno dell’ultimo zar, afferma convintamente che Anna Anderson è Anastasia Romanov e non solo per la somiglianza che, a suo avviso, è sorprendente.
Nel corso di alcuni colloqui Anna riferisce a Cecilia particolari legati alla famiglia Romanov che in pochi possono conoscere. Come quando racconta dell’improvvisa visita, a guerra già iniziata, del granduca di Assia a Nicola II. In una stanza del Palazzo Alessandro, a Carskoe Selo, i due cercarono, inutilmente, di trovare un accordo per una pace separata fra Russia e Germania.
A credere fin dall’inizio ad Anna ci sono Tatiana e Gleb Botkin, i figli dell’ultimo medico di corte, quel Evgenij Botkin che era morto insieme alla famiglia imperiale a Ekaterinburg. Specie Gleb, che da piccolo aveva spesso giocato con Anastasia, si adopera perché i giudici riconoscano alla donna quanto asserito. Crede tanto ad Anna al punto da fondare una società per sostenere le ingenti spese legali.
Gleb è fermamente convinto che Anna sia Anastasia ma gli servono delle prove inconfutabili, la migliore sarebbe il riconoscimento ufficiale da parte di un parente strettissimo. Una simile circostanza metterebbe fine a ogni tipo di illazione, nessun tribunale oserebbe mettere in discussione un simile, autorevole parere.
Chi era Anastasia Romanov?
Fra i parenti ancora in vita, una su tutti potrebbe davvero fare la differenza. Si tratta dell’imperatrice Maria, la mamma di Nicola II, da anni in esilio in Danimarca. Se quella donna riconoscesse in Anna la sua cara Anastasia, l’annosa questione cesserebbe di esistere ma l’imperatrice, in là con gli anni, già profondamente turbata dalla fine dei suoi parenti, rifiuta più volte di incontrare la Anderson. Non vuole subire un’altra cocente delusione.
Dal giorno della strage, infatti, non si contano i casi di fantomatici sopravvissuti a Ekaterimburg. Decine di persone, in svariate parti del mondo, a più riprese, si spacciano per Maria, per Olga, per Tatiana, persino per il piccolo Alessio. Si conteranno nel corso degli anni ben 28 false Olga, 33 false Tatiana, 53 false Maria e, addirittura, 80 casi di finti Alessio.
Gleb Botkin, tuttavia, non demorde. Nel 1925 riesce a far incontrare la Anderson con la granduchessa Olga Romanov, una delle sorelle di Nicola II. Le due donne parlano a lungo ma alla fine Olga firma un affidavit in cui denuncia la Anderson per frode. Per lo storico Peter Kurth, autore di The riddle of Anna Anderson, la dichiarazione della granduchessa fu dettata dalla pesante influenza dei parenti, a cominciare da quella dell’imperatrice madre, anche se, in cuor suo, Olga sarebbe stata «incline ad accettarla come Anastasia».
Per la maggioranza dei Romanov in vita, dunque, Anna Anderson è una mistificatrice, cinicamente mossa dal desiderio di fama e dal leggendario tesoro dei Romanov, depositato nei forzieri della Banca d’Inghilterra. Ad avviso di quest’ultimi, dietro la presunta Anastasia, si celerebbe, come appurato da un investigatore privato assoldato a tale scopo, Franziska Schanzkowski.
Si tratterebbe di una donna polacca, nata a Borek nel 1896, con un passato da operaia in una fabbrica di materiali esplosivi berlinese, un’identità, però, che non sarà mai ufficialmente riconosciuta da nessun tribunale.
Uno dei più accaniti oppositori dell’Anderson è Pierre Gilliard, precettore dei figli dello zar dal settembre 1905 al maggio 1918, quando, suo malgrado, viene costretto dai bolscevichi a lasciare per sempre la famiglia imperiale.
Nel 1929 pubblica un libro, dal titolo La falsa Anastasia: storia di una presunta Gran Duchessa di Russia, con cui confuta le rivendicazioni della Anderson. Dieci anni prima, ironia della sorte, prima che l’affaire scoppiasse, Gilliard aveva sposato Aleksandra Tegleva, una delle balie di Anastasia.
LA SENTENZA DEFINITIVA E LA MORTE DI ANNA ANDERSON
Il lungo iter giudiziario per provare la veridicità di quanto sostenuto dalla Anderson si conclude nel febbraio del 1970, quando la corte suprema di Karlsruhe dichiara il caso irrisolto. Non sono bastati quasi quarant’anni di udienze, a mancare ancora è la prova regina. Nel decreto con cui si chiude la questione i giudici tedeschi affermano che “la morte della granduchessa Anastasia a Ekaterimburg non può essere considerata un fatto storico definitivamente provato.»
Il verdetto del 1970 viene confermato nel 1977, dopo l’ennesimo appello dell’Anderson. Nella sentenza viene ribadita la mancanza di prove per avvalorare la tesi portata avanti dalla donna, che, a detta dei magistrati,nel corso degli anni non ha mai voluto attivamente collaborare con la giustizia, provando, in modo inconfutabile, di essere Anastasia Romanov.
Il 12 febbraio 1984, dopo l’ennesimo ricovero in un manicomio, Anna Anderson muore a causa di polmonite. Il suo corpo, come espressamente richiesto, viene cremato e le ceneri conservate nella cappella del castello di Seeon in Baviera, dove aveva vissuto per qualche tempo subito dopo le dimissioni dal manicomio di Berlino.
Nel 2008, a seguito di accurate analisi sul DNA dei presunti resti della famiglia degli zar ritrovati nel 1991, venne scritta l’ultima parola sull’eccidio di Ekaterinburg. La notte del 17 luglio 1918 nella casa di Ipat’ev, morirono tutti i membri della famiglia Romanov, nessun escluso.
Altre analisi, invece, condotte su dei campioni del tessuto di Anna Anderson, prelevati quando era ancora in vita e conservati in una clinica di Charlottesville, dimostrarono che si trattava di Franziska Schanzkowski, scappata nel 1919 da un manicomio di Berlino.
Dopo la sentenza definitiva, Anna Anderson così rispose a una giornalista che le chiedeva se prima o poi avrebbe rinunciato alla pretesa di essere Anastasia:
«Mai! Fino alla fine».
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